Nel 2014 Daniel Barenboim ha inciso 5 cd comprendenti l’integrale
delle Sonate per pianoforte di Franz Schubert
«Le Sonate per pianoforte di Schubert sono un caso a parte nella storia
della musica. Solo poche, tra le quali la “Fantasie-Sonata” in sol maggiore,
sono state pubblicate nel corso della sua vita: le altre hanno visto le stampe
postume e sono finalmente venute alla luce solo nel XX secolo con la
pubblicazione del catalogo sistematico di Deutsch».
@DanielBarenboim
È
con queste le parole che Daniel Barenboim inizia la presentazione
della sua incisione discografica del 2014 per la Deutsche Grammophon: 5 cd
comprendenti l’integrale delle Sonate (compiute) per
pianoforte di Franz Schubert.
La presentazione di Barenboim continua così: «Per
molte ragioni sono state considerate dai musicisti come lavori minori. C’è una
storia molto eloquente che a me è sempre sembrata plausibile: nel 1934 il
grande pianista Arthur Schnabel incontrò il compositore Sergej Rachmaninov
negli studi di Abbey Road a Londra. Alla domanda su cosa facesse negli studi
rispose: “Sto incidendo le Sonate di Schubert”. Rachmaninov restò perplesso e
chiese “Davvero? Schubert ha scritto anche delle Sonate?”. Non c’è dubbio che
Rachmaninov fosse un musicista intelligente ed erudito: semplicemente a quel
tempo solo pochissimi erano consapevoli che Schubert avesse scritto Sonate per
pianoforte. E se devo essere onesto, neanch’io per la maggior parte della mia
vita ho prestato troppa attenzione a queste opere meravigliose. La Sonata in la
maggiore era ben conosciuta, ma persino la magnifica Sonata in do minore era
eseguita raramente. Per molti anni mi sono concentrato su altre cose e non ho
prestato attenzione a questi lavori. Avevo sfogliato le partiture, ne avevo
suonata qualcuna a casa ma non le avevo mai esplorate come un ciclo completo. È
stato solo nel 1978, mentre stavo preparando tra l’altro gli Impromptus e
la Sonata in do minore in occasione del 150° anniversario della morte di
Schubert, che mi sono imbattuto nelle sue ultime sonate. Ne rimasi subito
affascinato e nacque la curiosità di conoscerle meglio, ma solo ora sono
riuscito a trovare sufficiente pace e tempo per dedicare ad esse tutta la mia
attenzione. Un progetto come questo – la possibilità di concentrarsi
esclusivamente su un compositore – è un vero lusso. Ho iniziato a suonare le
Sonate durante le mie vacanze estive, poi le ho riprese durante le vacanze di
Natale a casa. E ora, avendo avuto l’opportunità di sedere da solo con Schubert
in uno studio di registrazione per più di sei ore al giorno, mi rendo conto del
ruolo cruciale che queste composizioni hanno avuto nella sua troppo breve vita
musicale. Quando ripensiamo alla carriera di un compositore spesso ci rendiamo
conto che alcune composizioni più di altre rappresentano una sorta di diario
intimo delle loro vite. Nel caso di Beethoven non furono le sinfonie, come si
potrebbe pensare, bensì le sonate per pianoforte e i quartetti. Queste sono le
sue composizioni più personali. Per Mozart, sono forse le opere su libretto di
Da Ponte e i concerti per pianoforte. Quanto a Schubert, abbiamo sempre
considerato come punto di riferimento i Lieder, ma credo che anche le sonate
per pianoforte siano senz’altro parte del suo diario. Quando registrai
l’integrale delle sonate compiute ebbi l’ambizione, per il pubblico e per me
stesso, di diffondere nuova luce sulla sua vita e sui suoi lavori – di soffiare
vita dentro a quel suo diario musicale. Ne risultò un viaggio intenso e
affascinante dentro a questi microcosmi di raffinatezza armonica. Per alcuni
compositori, il diario è di facile lettura. Sappiamo tutti che per Beethoven si
distinguono tre fasi, giovanile, matura e tarda. Ma Schubert, allora, che morì
a 31 anni? La cosa straordinaria è che possiamo vedere con quale incredibile
rapidità egli progredì, pur avendo avuto una vita e una carriera così
tragicamente brevi. Possiamo solo immaginare cosa sarebbe potuto succedere se
avesse vissuto più a lungo! Sono convinto che sarebbe diventato uno dei
musicisti più rivoluzionari di tutti i tempi. Così com’è, nella musica che ci
ha lasciato possiamo sentire tracce di Bruckner, per non parlare di Johann Strauss
– talvolta ascoltando le sue sonate sembra di assistere a un concerto di
Capodanno per pianoforte. È sorprendente! Quel che colpisce in particolare,
quando ti immergi nelle sue sonate, è che Schubert è maestro dei contrasti.
Diversamente, per esempio, da Wagner, Schubert non necessita un apparato
dinamico ampio per ottenere gli effetti desiderati. I contrasti, per lui, sono
spesso basati su modulazioni nell’armonia o su un’incertezza intenzionale tra
maggiore e minore. Personalmente, sento una stretta affinità con questa
ricchezza di varietà e di cambiamenti improvvisi del temperamento. Non ha nulla
a che fare con lo sforzo, come in Wagner, dove lo sforzo è parte della
struttura espressiva. In Schubert non è così – con lui solitamente c’è spazio
per una risata in mezzo alle lacrime. Le sue sonate sono quindi anche
rivelatrici, poiché realizzano qualcosa che raramente si riesce a ottenere:
mettono insieme emozioni contrastanti in una unità armonica. A volte un singolo
tema può evocare una sensazione di gioia e, simultaneamente, far intravedere un
abisso di indicibile malinconia. La verità è che è impossibile spiegare tutto
questo a parole. Questo è il punto fondamentale della musica: se potessimo
spiegarla, non dovremmo suonarla. Per me, incidere insieme tutte le sonate di
Beethoven è stato un processo che ha consentito anche di esplorare l’effetto
che la musica ha su di noi. Dopo aver diretto, per esempio, Götterdämmerung,
non si può semplicemente tornare a casa e dimenticarsene – è un’esperienza
troppo travolgente per poterlo fare. Schubert mi ha colpito in un modo che mi
ha sorpreso: trascorrendo sei ore e più in intima comunione con la sua musica,
il mio stato d’animo era di totale tranquillità e appagamento. L’infinito
sentimento di felicità che ho provato durante quelle ore è vivo ancora oggi.
Del mio tardo incontro con le sonate di Schubert sono estremamente grato».