La serva padrona
Intermezzo buffo in due parti
Musica: Giovanni Battista Draghi detto Pergolesi (Jesi, 4 gennaio 1710 – Pozzuoli, 16 marzo 1736)
Libretto: Gennarantonio Federico
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Bartolomeo, 28 agosto 1733
Personaggi
Uberto,
ricco scapolo (basso)
Serpina,
sua serva (soprano)
Vespone,
servo di Uberto (mimo)
La trama
Intermezzo primo
Anticamera
Uberto, svegliatosi da poco è
arrabbiato perché la serva, Serpina, tarda a potargli la tazza di cioccolato
con cui è solito iniziare la giornata (Aspettare e non venire), e perché
il servo, Vespone, non gli ha ancora fatto la barba. Invia, quindi, il garzone
alla ricerca di Serpina, e questa si presenta dopo un certo tempo, ed
affermando di essere stufa, e che, pur essendo serva, vuole essere rispettata e
riverita come una vera signora. Uberto perde la pazienza intimando alla giovane
di cambiare atteggiamento (Sempre in contrasti con te si sta). Serpina,
non troppo turbata, si lamenta a sua volta di ricevere solo rimbrotti
nonostante le continue cure che dedica al padrone, e gli intima di zittirsi (Stizzoso,
mio stizzoso). Uberto per farla ingelosirla decide di prendere moglie;
ordina a Vespone di andare alla ricerca di una donna da maritare e chiede gli
vengano portati gli abiti ed il bastone per uscire, al che Serpina gli intima
di rimanere a casa perché ormai è tardi, e che se si azzarda ad uscire, lei lo
chiuderà fuori. Inizia un vivace battibecco, che evidentemente è già avvenuto
varie volte, ed in cui Serpina chiede al padrone di essere sposata, ma Uberto
rifiuta recisamente (Duetto Lo conosco a quegli occhietti / Signorina
v'ingannate).
Intermezzo secondo
Stessa Anticamera
Serpina cerca di attirare l’attenzione di Uberto, rivelandogli che anche lei ha trovato un marito e che si tratta di un soldato chiamato Capitan Tempesta. Uberto, colpito dalla notizia, cerca di non farlo notare deridendo la serva ma sa che sentirà la sua mancanza. Serpina, rendendosi conto di essere vicina alla vittoria, dà la stoccata finale, usando la carta della pietà, dicendogli di non dimenticarsi di lei e di perdonarla se a volte è stata impertinente (A Serpina penserete). Serpina chiede quindi ad Uberto se vuol conoscere il suo sposo, ed egli accetta a malincuore; Serpina esce fingendo di andare a chiamare il promesso sposo. Uberto rimasto solo si interroga e pur rendendosi conto di essere innamorato della sua serva, sa che i rigidi canoni dell’epoca rendono impensabile che un nobile possa prendere in moglie la propria serva (Son imbrogliato io già). I suoi pensieri sono interrotti dall’arrivo di Serpina in compagnia di Vespone/Capitan Tempesta. Uberto è al tempo stesso esterrefatto e geloso. Il Capitano, che non parla per non farsi riconoscere, per bocca di Serpina ingiunge ad Uberto di pagarle una dote di 4.000 scudi oppure il matrimonio non avverrà e sarà invece Uberto a doverla maritare. Alle rimostranze di quest’ultimo, il militare minaccia di ricorrere alle maniere forti, al che Uberto cede e dichiara di accettare Serpina come moglie. Vespone si toglie il travestimento ma il padrone, in realtà felice di come si siano messi i fatti, lo perdona e l’opera finisce con la frase che è la chiave di volta di tutta la vicenda: E di serva divenni io già padrona.