19 gennaio 2017

A colloquio con… Andrea Mastroni

«Per me il canto è espressione animale e di animus, ovvero un bisogno di dire per un cantante, un musicista, un musico:  è qualcosa di esistenziale, è esprimere se stessi utilizzando una forma privilegiata di comunicazione. Così come il pittore utilizza il segno grafico sulla tela, il cantante si avvale della propria voce per esprimere stati d’animo e sensazioni… in definitiva l’Io. Un mondo di introspezione e comunicazione: questo per me è il canto»


Milanese, formatosi anche come clarinettista e laureato in Filosofia Estetica, il basso Andrea Mastroni sta vivendo un momento particolarmente felice della sua carriera artistica. Reduce da numerosi e bei successi in Italia e all’estero, nel 2017 Mastroni debutterà in alcuni dei più importanti teatri del mondo: innanzi tutto, al Metropolitan Opera House di New York dove da domani (per un totale di 4 recite: 20, 26, 30 gennaio e 4 febbraio) sarà Sparafucile in Rigoletto nella produzione che porta la firma di Michael Mayer per la regia e di Pier Giorgio Morandi per la direzione. 

Per l’occasione, ho avuto il piacere di parlare con lui di quest’importante appuntamento, dei prossimi debutti e del suo percorso artistico. 


Nel 2017 ti aspettano importanti debutti internazionali, innanzi tutto quello sul palco del Metropolitan Opera House: come ti sei preparato per quest’importante appuntamento? Quando devo affrontare un debutto studio approfonditamente, sia da un punto di vista musicale che drammaturgico, il personaggio da rappresentare, nel pieno rispetto di ciò che richiede il compositore. Sicuramente cantare su un palco così importante e speciale mi elettrizza!

Andrea Mastroni in Rigoletto al
Teatro Carlo Felice di Genova
Per l’occasione, indosserai i panni di Sparafucile, un personaggio che ami molto, che hai debuttato giovanissimo e interpretato più di 200 volte. Cosa ti piace in particolare del ruolo? Sparafucile è un ruolo che mi accompagna sin dagli inizi della mia carriera, se si considera che l’ho interpretato, per la prima volta, nel 2002 e che a oggi arrivo a più di 200 recite. Di questo personaggio mi ha sempre affascinato il suo essere seduttivo, diabolico, serpentino, tentatore: indagare su questi aspetti, lontani da ciò che sono, rende ancor più affascinante la ricerca dell'interpretazione teatrale.

Al MET andrà in scena la produzione che porta la firma, per la regia, di Michael Mayer: un Rigoletto ambientato a Las Vegas, negli anni ’60 e nel quale Sparafucile è proprietario di uno strip-club. Hai già visto questa produzione? Cosa ne pensi? Sì, ho avuto la possibilità di vedere questa produzione.  In questi giorni, inoltre, abbiamo ultimato le prove di regia e  lo spettacolo mi affascina molto: in questa produzione Sparafucile sembra disegnato su di me, nel pieno rispetto della drammaturgia. Il borgognone diviene una sorte di gangster proprietario di un night-club: nel terzo atto, infatti, la locanda diventa il suo locale e il luogo dove si compirà il misfatto nella notte di tregenda. Il connubio tra regia e musica rende al massimo l’idea drammaturgica di Verdi relativa a questo personaggio.

A marzo, invece, interpreterai, per la prima volta, Fiesco in Simon Boccanegra a Monte Carlo e poi a Parigi in forma di concerto. Il debutto nel ruolo di Fiesco dal Simone Boccanegra arriva dopo numerose richieste che ho declinato. Ho sempre pensato di assecondare la natura della mia voce e la sua graduale evoluzione, scegliendo pertanto di interpretare solo adesso uno tra quelli che si possono definire i grandi ruoli da basso verdiano. Ho la fortuna di debuttare questo personaggio accanto a grandi colleghi e amici come Ludovic Tézier, Sondra Radvanovsky e Ramón Vargas. Che desiderare di più?

A maggio, sarai per la prima volta alla Royal Opera House Covent Garden di Londra in Don Carlo. Al Covent Garden, dopo avermi affidato numerose recite di Rigoletto per fine 2017 e  Die Zauberflöte nel 2018, mi hanno proposto anche la partecipazione in questa splendida produzione di Don Carlo nella quale avrò la fortuna di cantare accanto grandi nomi come Paata Burchuladze, che interpreterà il grande inquisitore.



Recentemente, invece, hai interpretato il protagonista di Aquagranda di Filippo Perocco per l’inaugurazione del Teatro La Fenice di Venezia. Ci parli di quest’esperienza e del tuo personaggio? È stata un’esperienza unica; il mio personaggio, Fortunato, sembrava disegnato esattamente sulla mia vocalità. L’allestimento, firmato Michieletto, ha reso quest’opera davvero unica e indimenticabile.

Il tuo repertorio spazia dal barocco al contemporaneo: dove ti senti più a tuo agio? Mi sento a mio agio in un repertorio dove la mia voce può esprimere, può dire. È molto difficile per me classificare la mia vocalità rispetto a un’epoca specifica ma, certamente, posso individuare il mio terreno d’elezione nel periodo tra Settecento e Ottocento, con una predilezione per Mozart, Rossini e Händel. Questo è il periodo storico al quale mi sento molto affine per una questione esistenziale/culturale e di gusto personale.



Come ti sei avvicinato al canto? Grazie alla liederistica, dopo aver ascoltato il ciclo schubertiano Die schöne Müllerin. All'epoca ero un diplomato al liceo classico e avevo appena terminato gli studi di clarinetto: fui rapito dal modo di cantare e interpretare questi testi e dalle atmosfere che queste musiche creano.

Ami molto anche il repertorio cameristico, soprattutto francese, e hai inciso l’integrale delle Mélodies di Duparc. Brilliant Classics mi propose di affrontare un progetto, arduo e innovativo, ovvero quello di interpretare il ciclo integrale delle restanti Mélodies di Henri Duparc, arrangiate per la voce di basso. L'esperimento è a dir poco riuscito e con successo, considerato che siamo alla sesta ristampa del disco!

Un’altra passione è, appunto, quella per i Lieder. Devo ammettere che la lideristica tedesca rimane sempre il mio grande amore, in primis Schubert, Mahler, Schumann e Wolf.



Cos’è il canto per te? Per me il canto è espressione animale e di animus, ovvero un bisogno di dire  per un cantante, un musicista, un musico:  qualcosa di esistenziale, esprimere se stessi, utilizzando una forma privilegiata di comunicazione. Come il pittore utilizza il segno grafico sulla tela, così il cantante utilizza la propria voce per esprimere stati d’animo, sensazioni.. in definitiva l'io. Un mondo di introspezione e comunicazione. Questo per me è il canto.

(© Andrea Mastroni)
C’è stata qualche figura di riferimento particolarmente importante nel tuo percorso? Sicuramente uno dei miei primi punti di riferimento fu la prima vera guida, Lella Cuberli, grande interprete delle pagine mozartiane e rossiniane, che fu in grado di trasmettermi un grande amore per questi autori. Un altro importante punto di riferimento è il mio maestro, Fernando Cordeiro Opa che mi accompagna in tutte le fasi di ogni singolo debutto.

Una carriera come la tua richiede impegno e sacrifici: c’è qualche rinuncia che ti pesa? Sicuramente si! Da persona, che nasce sedentaria,  questa scelta di vita mi ha imposto condizioni lontane dalle mie abitudini. Fare la vita del cantante d’opera non è un semplice lavoro,  ma in toto una scelta di vita. È certamente un grande sacrificio, venendomi a mancare l’appartenenza a un luogo, ma è pur vero che ogni lavoro richiede un sacrum-facere, quindi ben venga!

Come affronti le difficoltà legate alla carriera? Quali sono, per te, le maggiori difficoltà? Senz'altro bisogna essere piuttosto certi delle proprie scelte artistiche perché questo bizzarro mondo operistico propone molte tentazioni, soprattutto se il lavoro procede qualitativamente bene e gli apprezzamenti arrivano da molti teatri e dal pubblico. L'aspetto più difficile, alla luce di ciò, è quello di mantenere i piedi ben saldi a terra e di operare scelte ponderate al momento opportuno, considerando la naturale evoluzione della propria voce: a mio avviso questo implica un grande rispetto verso noi stessi e il pubblico che ci viene ad ascoltare. Non bisogna, quindi, strafare o bruciare le tappe per eccesso di autocompiacimento. Un’altra difficoltà si può verificare quando si lavora con direttori d’orchestra o registi che tendono a non motivare logicamente le loro scelte artistiche e le loro intenzioni espressive: personalmente, cerco sempre delle risposte e delle argomentazioni comprensibili, perché mi pongo un obiettivo di crescita personale e lavorativa in ogni situazione e in ogni produzione.

(©Nicola Garzetti)
Cosa invece ami di più della tua professione? Di questa professione amo la costruzione del personaggio che di volta in volta interpreto: dopodiché, trovo intrigante montarlo sulla scena, indagando il segno vocale scenico, differente in ogni contesto, approfondendo la drammatizzazione del personaggio e rendendo, quindi, in alcuni casi, il periodo delle prove il momento più ricco. L’attesa dell’entrata in scena completa il raggiungimento finale di un lavoro di costruzione e di introspezione di un personaggio.

Prima di entrare in scena c’è più adrenalina o paura? Sicuramente adrenalina perché l'adrenalina è un’energia che ci spinge a dare il meglio di noi stessi. Non direi paura, poiché associo quest’ultima a un sentimento negativo e non a un’esperienza artistica. L’adrenalina, al contrario, deve esserci perché siamo umani e la musica è vita: quindi, ben venga!

Quante ore dedichi allo studio? Lo studio è quotidiano e fatto di grande riscaldamento fisico e di indagine vocale, assecondando l’esigenza quotidiana e in prospettiva del repertorio che devo eseguire in quel determinato periodo.

Cosa ami fare nel tempo libero? Nel tempo libero amo circondarmi di arte, andare a teatro per vedere prosa o balletto; adoro anche il cinema di diversa estrazione. Amo andare in visita a mostre e musei, specie quelli dedicati all’arte moderna e contemporanea. Mi piace molto visitare nuove città e scoprire la cucina locale, soprattutto città italiane, dove  il patrimonio gastronomico e culturale è altissimo. Ovviamente nel tempo libero non può mancare un allenamento fisico anche mirato a un cantore.

Ti sei laureato anche in Filosofia Estetica: a cosa è dovuta questa scelta? Dopo gli studi classici avevo molti interessi tra i quali l'archeologia, la scenografia e la filosofia. Ho creduto che quest’ultima rappresentasse la scelta più indicata perché mi consentiva di indagare diverse categorie tra le quali la “possibilità” che in questo momento storico non mi pare sia abbastanza valorizzata: darsi una possibilità, attraverso la conoscenza e l'indagine di noi stessi, apre mondi di scelta incredibili. È per questo motivo che la filosofia è così affine al canto e al mio modo di essere. Non da ultimo, ho deciso di laurearmi sul melodramma monteverdiano, analizzato alla luce del neoplatonismo accademico seicentesco.

Quali ruoli che non hai ancora interpretato ti piacerebbe interpretare? Mi piacerebbe molto debuttare alcuni ruoli della musica tedesca, in particolare Wagner e il suo König Marke del Tristan; inoltre, desidero cantare  Osmin dal Die Entführung aus dem Serail, Lord Sidney da Il  Viaggio a Reims e ovviamente i ruoli del basso händeliano come il Re di Scozia, Polifemo e Zoroastro.

C’è qualche esperienza che ricordi con particolare emozione? Tutte le produzioni lasciano ricordi speciali nella memoria ma forse i più importanti sono stati innanzi tutto il mio debutto nel 2005 come Leporello, per il Circuito Lirico Lombardo, un ruolo che mi ha accompagnato per diverso tempo, arrivando a quasi 100 recite. Poi, il mio primo Sarastro al Teatro Carlo Felice di Genova, nel 2011, un ruolo che porto nel cuore e che mi sta portando molta fortuna, come è stato per l’apertura di stagione allo Staatsoper di Amburgo nel 2016. E ancora, Sparafucile all’Arena di Verona con il caro Leo Nucci  con cui ho avuto la fortuna e il piacere di condividere numerose volte il palcoscenico; la mia prima volta all’Opera de Paris  con La Fanciulla del West con protagonista Nina Stemme ; la prima di Macbeth al teatro degli Champs-Elysees. Infine, la mia prima di Aquagranda alla Fenice di Venezia. 




Che consigli daresti a un giovane che vuole intraprendere questa carriera? Mi capita spesso di lavorare con giovani cantanti e ciò che amo spesso consigliare è di ascoltare molto attentamente le loro esigenze vocali e soprattutto di cercare e ricercare tutte le informazioni che vengono offerte loro, senza confondere dogmi e informazioni,ma cercando di capire  meccanicamente cosa accade, di ascoltare e assecondare i segnali del nostro corpo e del nostro strumento. Non da ultimo, consiglio di comprendere al meglio le scelte di repertorio che si vanno ad affrontare.

Come vedi la situazione musicale italiana? Nel nostro Belpaese manca l'istruzione e la difesa del patrimonio culturale. L’Italia è il paese del Belcanto ma fino a qualche decennio fa, gli artisti di tutto il mondo facevano carte false per venire in Italia a esibirsi: adesso, scelgono altri teatri europei e mondiali, come accade a me oramai da tempo. Non posso nascondere che questo mi amareggia molto, da italiano e da artista.

Adriana Benignetti