01 giugno 2016

Cristiano Burato chiude la “Stagione 2015/2016” di Serate Musicali

Lunedì 6 giugno alle ore 21.00, presso la Sala Verdi del Conservatorio di Milano, ultimo appuntamento della stagione di Serate Musicali. In programma musiche di Liszt e Chopin



Sarà Cristiano Burato – considerato uno dei maggiori pianisti della sua generazione e vincitore di prestigiosi concorsi internazionali tra i quali il Concorso Internazionale Dino Ciani- Teatro alla Scala” – a chiudere la Stagione 2015/2016 di Serate Musicali, lunedì 6 giugno alle ore 21.00 presso il Conservatorio di Milano. Per l’occasione, Burato eseguirà musiche di Liszt e di Chopin.

Lunedì 6 giugno ore 21.00
Serie «Festival Omaggio Milano» 2016

«In ricordo di Bianca Hoepli»                     

Sala Verdi del Conservatorio di Milano

Pianista CRISTIANO BURATO
«Primo Premio Assoluto Concorso Dino Ciani-Scala»

FRANZ LISZT (1811-1886)
Consolations S.172      
n. 1 Andante con moto; n. 2 Un poco più mosso; n. 3 Lento placido; n. 4 Quasi Adagio; n. 5 Andantino; n. 6 Allegretto sempre cantabile
«Funérailles» da Harmonies poétiques et religieuses S.173
«Vallée d'Obermann» da Année de Pèlerinage, Suisse, Premiére année S.160

FREDERIC CHOPIN (1810-1849)
Sonata n.2 in si bemolle minore op.35
Grave; Agitato; Scherzo; Marcia funebre
Sonata n.3 in si minore op.58
Allegro maestoso; Scherzo: Molto vivace; Largo; Finale: Presto, non tanto. Agitato

Il programma (tratto dal libretto di sala)

FRANZ LISZT
Six Consolations S 172
I sei pezzi che compongono la raccolta delle Consolations risalgono al periodo di Weimar (attorno al 1850); sono trascrizioni musicali di poemi di Sainte-Beuve e ne portano lo stesso titolo. Dedicati a Victor Hugo, pubblicati nel marzo del 1830, i ventinove poemi dello scrittore francese non potevano che sedurre il musicista per il loro tono di compiacente melanconia e allo stesso tempo di intima confidenza. Le sei Consolations di Liszt sono in effetti pezzi brevi, di esecuzione relativamente semplice, non troppo lontani da uno stile schumanniano e spesso toccante, ma le cui soavità non possono essere rese che dalle dita di un pianista nemico di qualunque manierismo. Musica “da salotto”? Può essere. Occorre tuttavia constatare l’ingiusta disaffezione che esse patiscono oggigiorno, tanto da parte del pubblico, tanto da parte degli interpreti. All’Andante con moto meditativo della prima Consolation si oppone di fatto la fluidità sorridente e rapida della seconda (Poco più mosso) con le sue sonorità d’arpa. La terza è un Lento placido, senza dubbio il più personale, che ricorda i Notturni chopiniani, dato l’accompagnamento cullante e la melodia della mano destra che modula, passando da un calmo re bemolle maggiore e muovendosi verso il fa, per virare nel la minore doloroso e per tornare alla tonalità di partenza, con tenerezza. La quarta, dal sereno andamento corale, è basata su un tema della granduchessa Maria Pavlovna, omaggiata enigmaticamente nella stella disegnata sul frontespizio e nell’indicazione iniziale “cantabile con divozione”. L’atmosfera cambia nel quinto brano ma è solo nella sesta e ultima Consolation (ispirata, a quanto sembra, da L’Harpe éolienne, ventisettesimo Poema di Sainte-Beuve), che per un attimo fa capolino il virtuoso Liszt, prima che la raccolta si spenga serenamente in un sommesso e placido accordo di mi maggiore.

«Funérailles» da Harmonies poétiques et religieuses S.173
Questa raccolta fu composta tra il 1834 – con Pensées des morts, primo brano - e il 1852, quando le dieci parti di cui è composta furono riunite da Liszt sotto il titolo preso in prestito da Lamartine. Le Harmonies Poétiques et Religieuses del poeta francese, erano state pubblicate nel 1830 in quattro libri, che raccolgono quarantasette poesie, miranti «a riprodurre un grande numero delle impressioni della natura e della vita sull’animo umano», con quest'avvertimento: «Questi versi sono rivolti a pochi». Il musicista, che aveva ventidue anni quando lesse Lamartine, non esitò a considerarsi fra questi. Delle poesie che prese in considerazione, quattro soltanto conservarono il loro titolo: Invocation, Benédiction de Dieu dans la solitude, Pensées des morts et Hymne de l'enfant à son réveil: gli altri sei brani portano titoli dati da Liszt stesso. La raccolta fu dedicata a Jeanne Elisabeth Carolyne (la principessa Sayn-Wittgenstein, divenuta la sua amante). Non si può mettere in dubbio che questa raccolta racchiuda sia il meglio che il peggio del pianismo lisztiano: alcuni momenti sublimi e sfortunatamente alcuni brani di un'eloquenza finta, dove si riflettono le ambiguità (e le debolezze) del sentimento religioso. «Funerailles», compare come settimo numero delle «Harmonies poétiques et religieuses». È scritto nel 1849, mese e anno della morte di Chopin. È la memoria di tre nobili vittime della Rivoluzione d'Ungheria del 1848-1850: Principe Felix von Lichnowsky, Conte Seleky, Conte Balthyanyi. Oltre ai tre eroi ungheresi, c'è una reminiscenza di un eroe non celebrato: Chopin (Grande Polacca in la bemolle op. 53, che aleggia nel famoso passaggio di ottave). Dopo il rullare sordo dei tamburi dell'Introduzione, che danno un crescendo apocalittico, il «sottovoce» («pesante» il Tema alla sinistra) dà avvio alla Marche funébre che, con inquietudine à la Liszt, da fa minore rapidamente sale modulando a fa diesis minore. Il giro-base è fa minore - si bemolle minore - fa diesis minore. Se immaginiamo che Liszt avesse a mente la Marcia funebre della Sonata op. 35 di Chopin, possiamo anche ammettere che il «lacrimoso», in la bemolle maggiore, sia il pendent al Trio della Marcia funebre di Chopin. Simile la curva vocale della melodia, simili le quartine accompagnanti nella sinistra.

«Vallée d'Obermann» da Année de Pèlerinage, Suisse, Premiére année S.160
«Avendo percorso molti paesi nuovi, molti luoghi diversi, molti luoghi consacrati dalla storia e dalla poesia, avendo sentito che i vari aspetti della natura e le scene connesse non passavano davanti ai miei occhi come mere immagini, ma provocavano emozioni profonde, così che tra loro e me si stabiliva una relazione vaga ma immediata, un rapporto indefinito ma reale, una comunicazione inspiegabile ma certa, ho cercato di rendere in musica alcune delle mie emozioni, le più forti, le più vive …». Ecco le premesse della prefazione al primo volume degli Années de Pèlerinage, una sorta di giornale che traducesse le impressioni della natura o suscitate da opere letterarie o artistiche, per esprimere sentimenti religiosi, mistici o personali. Le tre raccolte che Liszt compose tra il 1848 e il '77 complessivamente comprendono 26 pezzi e rappresentano, insieme alla Sonata in si minore e agli Studi Trascendentali, la vetta dell'opera pianistica lisztiana. Essi danno la misura dello sforzo compiuto da Liszt, di sintetizzare in musica una visione il più possibile completa del suo secolo. Se nella Sonata è presente il Liszt speculativo e metafisico, se negli Studi c'è il virtuoso supremo, negli Années c'è l'artista che aderisce appassionatamente a tutti gli aspetti del mondo in cui vive: la natura, l'arte, la poesia ... Troppo spesso considerati in passato pezzi banalmente descrittivi, «cartoline illustrate», questi brani sono invece percorsi da intenzioni simboliste, non sempre perfettamente comprese, specie in passato, dagli esecutori e quindi dal pubblico. E in essi i valori musicali e pianistici prevalgono senz'altro su quelli illustrativi e pittoreschi. Le origini degli Années - e in particolare del primo - sono nei tre volumi dell'Album d'un Voyager che Liszt scrisse nel biennio 1835-36 e pubblicò nel 1840. Valle d'Oberman, nonostante il titolo, non nasce da suggestioni paesaggistiche. Il brano - che rappresenta il nodo emozionale, il centro espressivo di questo «Année» svizzero, si ispira al romanzo Oberman del citato Etienne Pivert de Senancour, del quale è stato detto: «Fra languidezze insopportabili, è uno dei libri più abissali che esistano». Il pezzo, talvolta paragonato a un poema sinfonico in miniatura, mostra un Liszt in pieno possesso della tecnica della trasformazione dei temi, che egli usa qui con grande maestria e sicurezza per sottolineare ogni mutamento espressivo del discorso musicale.

FREDERIC CHOPIN

Sonata n.2 in si bemolle minore op.35
Rivoluzionaria dall’A alla Z è l’opera 35, dalla dolorosa, disperata cadenza iniziale dell’inafferrabile e tempestosa volata dell’ultimo movimento. Nella sonata tradizionale l’accento principale è posto, di solito, sul primo movimento, quello, abitualmente, scritto in forma di sonata, appunto. Chopin questo baricentro lo sposta sul terzo movimento, la famosa Marcia funebre, che così, con i suoi toni ora declamatori, ora intimamente sofferti, ora straordinariamente onirici, diviene il nucleo e motivo del lavoro. E non solo: Chopin assorbe virtualmente in questa Marcia funebre anche il quarto movimento, della durata di una manciata di secondi, dove il ritmo cadenzato della marcia va a sperdersi nel nulla, nel nulla disperato di questa enigmatica pagina di musica, dove virtuosismo digitale e virtuosismo mentale, virtuosismo emotivo, se così si può dire, si sposano alla perfezione. Vogliamo tentare un confronto con l’ultima Sonata beethoveniana? Nell’op. 111, Beethoven dopo aver scardinato completamente lo schema, termina nel silenzio, dove si polverizza il tema dell’Arietta: un’oasi di pace. Chopin, dopo aver fatto più o meno altrettanto, termina in modo opposto, scagliando, dopo un indescrivibile turbinio, un accordo perentorio, indescrivibilmente inquieto. Per Schumann il Finale non era musica. Nato nella cella della certosa di Valldenosa, tale acustica anomala potrebbe aver influito o creato un’allucinazione. O Chopin dubitava di potersi superare, fornendo un Tempo angolare, dopo il primo? Il brontolio indistinto del corteo che si scioglie 80-90 secondi), fu intenzione di Chopin, che escludeva leggende di sorta. Divenne «venti sulle tombe» (A. Rubinstein), poi alibi per velocità pura (con la mano sinistra costretta al terribile unisono con la destra). I secondi scendono a 70, poco più. Qualcuno impiega una vita a tentare il primato. Rachmaninov ne dà la perfetta versione teatrale, Arturo Benedetti Michelangeli l’anti-teatrale. Ignorati Friedman (possibile primatista) e Cherkassky, che ci spiegò perché rinunciava al cronometro. Quanto alla Marcia funebre, «grandiosa senza precedenti» per qualcuno, Busoni suonò il Trio, con suono di «cornetta» e Bülow lo trovò ripugnante. Lenz disse: «È la pietra di paragone. Confine tra pianisti e poeti». Nessun «pianissimo» è qui sufficiente. Il vero primato sta qui. Torna l’incubo di Chopin da reincarnare: ma come si fa, se aveva le dita di Elfo?

Sonata n. 3 in si minore op. 58
Non è difficile determinare l’anno di nascita della Sonata op. 58. «Non ho più scritto nulla, dalla vostra partenza» scrive Chopin al cognato e alla sorella, nell’agosto '45. Ma una settimana prima del Natale ‘44 la Sonata era già stata offerta sia a Schlesinger che a Breitkopf. Dunque il periodo si riduce tra inizio settembre (data di partenza della sorella), e il 28 novembre. Dedicata all’allieva contessa de Perthuis, moglie dell’aiutante di campo di Luigi Filippo, la Sonata ebbe grandi riconoscimenti. Schumann la lodò e Kalkbrenner il terribile (che aveva minacciato di prendere Chopin come allievo ... ma questi si era difeso con le unghie e coi denti) gli chiese addirittura di insegnarla a suo figlio (!). Ma non basta. Le parrucche sapienti del Conservatorio di Parigi ne proposero il I Movimento come pezzo imposto per la loro sezione femminile. Ma ciò nel 1848. Poi la stessa Sonata fu bersaglio di altre parrucche e parrucconi e ne seppe qualcosa il nostro Alfredo Casella che nel 1896 aveva 12 anni e voleva iscriversi al Conservatorio di Parigi. Allo scopo aveva dunque preparata questa immensa e meravigliosa ultima Sonata di Chopin, ma il saggio suo maestro Diémer (Louis), d’imperio gliela fece sostituire, per qualcosa di «meno arido» (tra Mendelssohn, Bach e Sgambati). Per non dir degli strali del teorico e terribilissimo V. D'Indy. Ma l’op. 58 ha tutt’altra classicità di forme comparata alla precedente op. 35 (la «Funebre»). Si direbbe che Chopin avesse avuto fretta di concludere l’op. 35, tanto che il Finale ne risultò telegrafico: quel «borbottio tra 2 voci». I tempi dei virtuosi erano destinati ad accorciarsi (e a succedersi i primati di velocità in mancanza di meglio). Ma già il Tempo eseguito «di Chopin» non poteva superare il minuto e mezzo. E il verso del Carducci, non è forse un involontario commento: «Come un corteo nero/che, brontolando in fretta in fretta va»? Altra fatica, altro il lavoro prestato per fornire la sua III Sonata di un vero Finale. Di fronte alla precedente Sonata «funebre» (fondata su 2 soli veri Tempi), alla III non manca alcuno dei 4 Tempi. Ma qui lo stesso Liszt obietta che l’op. 58 è più costruita che ispirata (e certo pensava alla «Funebre», che proprio nel suo instabile equilibrio, nel suo intuirsi autobiografia dell’incompiuto, nei finali messaggi al vento e al silenzio, si rivela più carica di fato). Delle tre Sonate (1828, 1839, 1844), a parte la prima opera giovanile, l’op. 4, in parte scolastica, le altre due, op. 35 e op. 58, appaiono come due monumenti graniticamente contrapposti. Scritta poco avanti la rottura con la Sand, la Sonata op. 58 in si minore, non pare in questo senso affatto biografia, anzi una reazione imprevista al destino e alla malattia imminente e progressiva. Sembra un progetto affermativo, ne tradisce un «cupio dissolvi», in alcuno dei suoi Tempi e neppure nel Finale, che non rifiuta nemmeno il virtuosismo ad hoc: joie de jouer, joie de vivre. Il primo tempo, (Allegro maestoso, in 4/4), crogiolo, o miniera di Temi, sovrasta tutti gli altri (come già il Primo Tempo dell’op. 35). L’incipit è orchestrale. Il II Tema è del sublime italianista che sappiamo. La riesposizione del Tema di inizio è omessa, come già nell’op. 35. Così l’interesse è spostato sul secondo tema, trasposto in si maggiore. Lo Scherzo (Molto vivace, in 3/4) è in mi bemolle, non ha il carattere demoniaco dello Scherzo dell’op. 35. Meravigliosamente fluido, anzi liquido, ha il Trio in si; modello di scrittura à la Chopin, potrebbe fare da pezzo imposto, per un concorso di virtuosismo poetico. Il Finale (quasi Rondò), dà alibi a molti d’esser considerato alla stregua di una pagina «politica», a glorificazione della Patria. Andrebbe dunque ad allinearsi alle grandi Polacche «politiche» e in ispecie alla Coda della Polacca op. 61. Uno degli elementi «di prova» sarebbero le otto fatali battute di apertura, marziali, a mo’ d’Introduzione. «Presto, non tanto» è indicazione forse sibillina, se si considera la velocità un fatto anti-matematico, come la Poesia, o la Verità, in ogni caso più vicina all’illusionismo che alle cifre. Qui poi è in gioco la sacra Maestà della Polonia. Il II Tema ne è uno dei fondamenti e il secondo, co

Considerato a livello internazionale uno dei maggiori pianisti della sua generazione, Cristiano Burato si è diplomato con lode e menzione d’onore al Conservatorio di Mantova con Rinaldo Rossi, al quale deve la sua formazione artistica. Ha conseguito inoltre con lode il diploma all’Accademia di S. Cecilia di Roma con Sergio Perticaroli. Ha studiato anche con Aldo Ciccolini. Dopo aver vinto importanti premi in concorsi pianistici, tra cui il “Sydney International Piano Competition of Australia”, il “Tomassoni” di Colonia, il “World Piano Competition” di Londra, il Leeds International Piano Competition, si è imposto definitivamente sulle scene internazionali con la vincita, nel 1996, del Concorso di Jaen (e “Premio Rosa Sabater” come miglior interprete di musica spagnola) e del prestigioso Concorso Internazionale “Dino Ciani - Teatro alla Scala” di Milano, con verdetto unanime della Giuria presieduta da Riccardo Muti. La sua intensa attività concertistica lo ha portato ad esibirsi nelle sale più prestigiose in Italia e all’estero (“Teatro alla Scala” di Milano, Auditorium di Santa Cecilia, Teatro Olimpico e Parco della Musica di Roma, “Sydney Opera House”, “Royal Festival Hall” e “Wigmore Hall” di Londra, “Konzerthaus” di Vienna, Tonhalle di Zurigo, Auditorium delle Nazioni Unite di New York, Queen’s Hall di Edinburgo, ecc.) Ha collaborato con: Orchestra Filarmonica della Scala, Orchestra Sinfonica della RAI, Philharmonia Orchestra di Londra, Sydney Philharmonic Orchestra, Wiener Kammerorchester, etc… e con direttori quali: Simon Rattle, Lü Jia, Marcello Viotti, Alun Francis, Mario Bellugi, Ravil Martinov, Umberto Benedetti Michelangeli, Frank Shipway, Cristian Maendel. Grandi apprezzamenti hanno sempre suscitato le sue interpretazioni chopiniane: ha ricevuto premi e menzioni speciali da parte di Giurie Internazionali (Sydney, Colonia e Londra) ed è stato invitato a tenere numerosi concerti dedicati al compositore polacco (all’International Chopin Festival di Duszniki in Polonia, al Municipio di Parigi per commemorare il 150° anniversario dalla morte, a Londra per la Chopin Society, ecc.) Ha tenuto una conferenza sull’interpretazione di Chopin a San Diego per la “California Association of Professional Music Teachers”, oltre a diverse Master Classes in Italia e all’estero. Ha effettuato registrazioni per la RAI, la BBC di Londra, Radio France, la ABC of Australia, la NDR di Hannover, oltre che per diverse case discografiche. Docente presso il Conservatorio di Bolzano, è anche membro del Comitato Artistico del Concorso “Busoni”. Per meriti artistici è stato premiato con Medaglia del Presidente della Repubblica Italiana. È ospite memorabile di “Serate Musicali” dal 2007. È anche (talvolta), con somma indulgenza, allievo “ideale” di H.F.; che allora diventa il suo umile scriba.

Adriana Benignetti