08 gennaio 2023

“Ernesto A. L. Coop”

da “Il pianoforte a Napoli nell’Ottocento” di Vincenzo Vitale (Napoli, 13 dicembre 1908 – Ivi, 21 luglio 1984)

Ernesto A. L. Coop

Un vecchio album di pezzi pianistici rilegato in tela ed oro. Sulle copertine, tra arabeschi e ghirigori, titoli annuncianti moti dell’animo, fenomeni meteorologici, località turistiche, date fatidiche (L’âme qui rêve. L’imitazione del temporale. La pluie des perles. Sur le lac) e decorazioni floreali che incorniciano zuccherose immagini femminili. Da una di quelle copertine (lucida, fastosa nella sua decorazione policroma) sorride, verginale e vasta, una giovinetta che pare diffonda odor di vaniglia, in contrasto con quello, acre, di muffa, che impregna tutto il volume.

La bellissima è il titolo del pezzo. Autore ne è Ernesto A. L. Coop, dal solenne triplice nome e dall’esotico cognome di origine anglo-sassone.

Se Francesco Lanza fu un artista cui la cultura musicale non difettò, e che abbia ampia e sicura nozione dell’opera dei grandi romantici, non così può dirsi del suo quasi contemporaneo Ernesto A. L. Coop. In questo distinto gentiluomo, che usava carrozza e cavalli per recarsi ad impartir lezioni nelle case dei nobili e dei ricchi napoletani, v’era solo un’epidermica conoscenza del romanticismo pianistico.

L’eroismo, la tristezza, l’amore, il pensiero della morte, che si trasfigurano in atto poetico nei sommi finirono in lui nella decalcomania.

Ernesto Coop fu il campione d'una malinconia di maniera e, nella fiera dell'impudicizia sentimentale, occupò un posto di privilegio. Basterebbero i soli titoli dei suoi pezzi pianistici a denunziarne non che i limiti, la povertà dell'invenzione, la carenza del gusto: La tristezza, La smania, Lo scherzo, La sciocchezza. E soprattutto il Pensiero lugubre. Notturno op. 50, che fece illanguidire per decenni i frequentatori dei salotti napoletani nella seconda metà dell’Ottocento. 



I Notturni di Field e di Chopin, i  Nachtstücke di Schumann, il notturnismo minore di Teodoro Döhler (che pure aveva una sua cifra di distinzione) e quanto, ispirandosi alle ombre, l’estetica romantica aveva prodotto, erano ancora impopolari nel ceto incolto o affezionato solo alla musica da teatro e che preferiva la più accessibile e dichiarata sbavatura delle pagine di Ernesto Coop, cavaliere delle ‘periodiche’ partenopee. Era nato a Messina il 17 giugno 1802[2]. Il padre era avvocato, ed appassionato cultore di musica. Nella sua dimora à la page presso il mondo elegante ed intellettuale cittadino si eseguivano Haydn, Mozart, Beethoven. E se si tiene conto di questo importante fattore ambientale si ha ragione di ritenere che gli insegnanti del Coop, Aspio e Mazza, non influissero beneficamente sull'evoluzione musicale del proprio alunno, ma che anzi ne deviassero la buona formazione iniziale.

Non che il giovane pianista fosse, come esecutore, privo di talento. Anzi, se si leggono le cronache delle sue esibizioni, si rivela quanti ammirati consensi ottenessero le sue performances nei cenacoli privati e nelle pubbliche ‘tornate’. Fin dal suo arrivo a Napoli si distinse per doti di suoni e di eleganza, quantunque la sua precisione non fosse delle più ammirevoli. Ma il successo gli arrise e non mancò di far giungere i suoi echi fino ad una stella del concertismo internazionale presente allora a Napoli: a Sigismondo Thalberg, che invitò il giovane pianista siciliano ad eseguire con lui pezzi trascritti per due pianoforti. Importante attestazione di stima, questa, che fornì al Coop il principale titolo di vanto; superiore forse al successo ch’egli ebbe col suo Pensiero lugubre.

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Vincenzo Vitale, Il pianoforte a Napoli nell’Ottocento, Saggi Bibliopolis 10, Napoli: Bibliopolis 1983

A. B.