16 gennaio 2015

Alla Scala Fabio Luisi va “lontano” … ma non con Joshua Bell

Domenica 11 gennaio, il primo appuntamento 2015 del ciclo “Prove Aperte” ha visto Luisi in splendida forma nelle pagine di Ligeti e Varèse: meno brillante, invece, l’esecuzione del concerto di Brahms, con solista Joshua Bell


È un Teatro alla Scala “sold out” quello che accoglie il primo appuntamento del 2015 del ciclo “Prove Aperte – La Filarmonica della Scala incontra la città”, lodevole e ormai consolidato progetto che vede La Filarmonica impegnata, da un lato, a sostenere il mondo del non profit milanese e, dall’altro, a garantire una maggiore accessibilità alla musica a prezzi davvero contenuti.  

Primo appuntamento che viene introdotto dal critico musicale Enrico Parola, sul palco a dialogare con Fabio Luisi. Il direttore confessa di non amare molto le parole (“Preferisco dirigere 5 ore piuttosto che parlare 10 minuti”): eppure, riesce a tenere il pubblico attento e silenzioso presentando in maniera chiara, comprensibile e appassionante i brani che verranno eseguiti.

Inizia, poi, la prova che rilegge il programma a ritroso rispetto a quanto stabilito per il concerto (che avrà luogo il giorno successivo): Varèse, Ligeti, Brahms. Ad aprire è dunque Amériques, brano “per grande orchestra” di Edgard Varèse: e di grande orchestra davvero trattasi, visto che l’organico impiegato è enorme, particolarmente nelle sezioni delle percussioni (ben 11 gli esecutori). Bella e di grande maestria è la lettura che Luisi ne dà: una lettura che mette in rilievo, innanzitutto, le contrapposizioni sonore e ritmiche della partitura (tra tempi lenti e molto vivaci e tra ottoni e archi, con i legni a fare da trait d’union tra tutte le sezioni). Una partitura complessa, quella di Varèse, eppure caratterizzata dall’immediatezza dell’approccio. Il brano viene eseguito da cima a fondo e solamente poche battute sono, alla fine, ripetute.

Si passa, poi, a Lontano di György Ligeti, pagina molto suggestiva e segnata da una sorta di “ragnatela armonica” dalla quale si diramano, come fili, le melodie, con chiari riferimenti a Bach e Ockeghem. Anche in questo caso ottima la direzione di Luisi e l’esecuzione della Filarmonica.

Tutto cambia, invece, nella seconda parte della prova, quando a salire sul palco è Joshua Bell cui è affidata l’esecuzione del Concerto per violino e orchestra in re magg. op. 77 di Brahms: fisico atletico e un pizzico di spavalderia, tecnica impeccabile, suono meraviglioso, Bell accentra su di sé tutte le attenzioni. L’esecuzione è interrotta, fin da subito, ripetutamente: a chiedere di rivedere passaggi o singole battute è di rado Luisi, molto più spesso il violinista. E quando lo fa, la tendenza è quella di salire sul podio – per indicare con precisione le battute, certo, ma anche per dare la sua lettura della partitura (o almeno questa è l’impressione che si ricava) – o di suonare le parti orchestrali, rivolgendosi in particolare alla sezione dei primi violini e mostrando loro dinamiche e accenti voluti. 

Il risultato finale è, per certi versi, straniante: Joshua Bell, nonostante la tecnica impeccabile, la presenza scenica invidiabile, il suono intenso e il grande virtuosismo, fa, della splendida pagina brahmsiana, una lettura poco coinvolgente e appassionante, privilegiandone il lato virtuosistico. 

Quel che risalta, più di tutto, però, è la davvero poca coesione tra le parti, la mancanza di una visione comune, di un equilibrio tra solista e orchestra che, invece, il concerto richiede. E lo stesso Luisi, che nella prima parte aveva brillato, è sembrato qui nervoso e poco concentrato. 

Adriana Benignetti