Salome
Dramma in un atto
Musica
Richard Strauss (Monaco di Baviera, 11
giugno 1864 – Garmisch-Partenkirchen, 8 settembre 1949)
Libretto
Hedwig Lachmann (Słupsk, 29 agosto
1865 – Krumbach, 21 febbraio 1918), dal poema omonimo di Oscar Wilde (Dublino,
16 ottobre 1854 – Parigi, 30 novembre 1900)
Prima
rappresentazione
Dresda, Königliches Opernhaus, 9
dicembre 1905
Personaggi
Erode (tenore)
Erodiade (mezzosoprano)
Salome (soprano)
Jochanaan (baritono)
Narraboth (tenore)
Un paggio di Erodiade (contralto)
Cinque giudei (4 tenori e 1 basso)
Due nazareni (tenore e basso)
Due soldati (bassi)
Un cappadoce (basso)
Uno schiavo (basso)
Giudei
La
vicenda è ambientata nella reggia di Erode a Gerusalemme
La trama
(Fonte: Dizionario dell’opera 2002 a cura di Piero
Gelli, Baldini&Castoldi, Milano 2001. Voce di Enrico Girardi, pp. 1136-1140)
Scena
prima
È
notte, la luna risplende luminosa e rischiara la sala dove Erode, tetrarca di
Giudea, ha raccolto a banchetto i suoi cortigiani. A lato della sala,
sorvegliata da due soldati, vi è un’antica cisterna nella quale è imprigionato
Jochanaan, il Battista. Dialogando nei pressi della cisterna, il paggio di
Erodiade tenta di convincere Narraboth, capitano dei soldati della guardia di
Erode, a non lasciarsi ammaliare dalla lunare bellezza di Salome, figlia di
Erodiade. Intanto dalla cisterna proviene la profetica voce di Jochanaan: «Dopo
di me verrà uno ch’è ancor più forte di me...». I soldati discutono se egli sia
un profeta o un pazzo ma, ligi all’ordine di Erode, impediscono l’accesso alla cisterna
a un cappadoce che desidera vedere Jochanaan. Intanto si avvicina Salome,
«simile a una colomba smarrita».
Scena
seconda
La
figlia di Erodiade è stanca degli sguardi insistenti che le rivolge il patrigno
Erode ed è uscita a guardare la luna, «bella come una vergine ch’è rimasta
pura». Ode la voce di Jochanaan, che continua a gridare le sue profezie, e ne è
incuriosita al punto di ignorare l’ordine di Erode, riferitole da uno schiavo,
di fare immediato ritorno nella sala, e di esprimere piuttosto il desiderio di
incontrare il prigioniero. I due soldati non vorrebbero trasgredire l’ordine
del re ma Salome, forte del suo potere di seduzione, non fatica a convincere
Narraboth di ordinare loro di far uscire il profeta dalla cisterna.
Scena
terza
Liberato
dalla sua prigione, Jochanaan inveisce contro i peccati di Erode e soprattutto
di Erodiade, ma ciò non impedisce a Salome di rimanere, contro il consiglio di
Narraboth, in contemplazione dei suoi occhi, del suo corpo, della sua carne.
Quando Jochanaan si accorge di essere osservato tanto voluttuosamente, respinge
la fanciulla, inveendo di nuovo contro la madre che l’ha generata e il
patrigno. Ma Salome ne è sempre più attratta, vorrebbe vederlo più da vicino,
toccare il suo corpo, i suoi capelli, vorrebbe baciare la sua bocca, essere
posseduta da lui. Narraboth la supplica invano di non guardare quell’uomo in
modo tanto concupiscente, e non potendo più sopportare la violenza erotica di
Salome, che ama perdutamente, si pugnala. Salome, che non si è nemmeno accorta
del suicidio di Narraboth, continua a ripetere di voler baciare la bocca di
Jochanaan, il quale, dopo aver maledetto la fanciulla, fa infine ritorno nella
sua prigione.
Scena
quarta
Erode,
Erodiade e il loro seguito sono usciti dalla sala del banchetto; il tetrarca
sta cercando Salome e non ascolta le parole di Erodiade, che lo invita a
rientrare. Quindi scivola sul sangue di Narraboth – avvenimento che interpreta
come un triste presagio – e ordina di portare via il cadavere. Raggiunta infine
Salome, le offre il miglior vino, le porge i frutti più maturi, la invita a
sedersi al suo fianco, ma lei respinge le sue offerte, mentre Erodiade continua
a inveire contro di lui, rinfacciandogli di temere l’uomo che è imprigionato
nella cisterna, da dove continua a scagliare le sue tremende profezie. Erode,
invece, timoroso e superstizioso, proclama che Jochanaan è un sant’uomo, «uno
che ha visto Dio»; ma l’affermazione è confutata teologicamente da cinque
giudei, la cui dotta disquisizione è interrotta da un ordine di Erodiade, che
ne è infastidita. Due nazareni intervengono in difesa del Battista,
testimoniando la verità delle sue affermazioni sulla venuta del Salvatore.
Erodiade intanto ordina di nuovo di far tacere Jochanaan, che continua a
insultarla. Erode, indifferente alla cosa, si rivolge di nuovo alla figliastra
pregandola insistentemente di danzare per lui. Solo alla promessa di avere in
cambio tutto quello che vorrà, Salome acconsente, nonostante l’esortazione
della madre di non compiacere il patrigno. Ma Salome è ormai decisa a danzare e
si fa togliere i sandali dalle schiave sopraggiunte a portarle i profumi e i
sette veli. Sulla note di una musica selvaggia, Salome esegue una conturbante
danza, con i veli che cadono a uno a uno, fino a lasciarla in terra ai piedi
del tetrarca, estasiato. E quando Erode le domanda quale sia la ricompensa da
lei desiderata, ella ordina che venga portata la testa di Jochanaan su un
piatto d’argento. Erodiade si compiace della richiesta della figlia, mentre
Erode ora vacilla, supplicandola di chiedere anche la metà del suo regno ma di
rinunciare al terribile proposito. Salome, tuttavia, è irremovibile. E quando
finalmente, dopo attimi di terribile attesa, il carnefice le consegna l’oggetto
del suo desiderio, si lascia andare a un canto in cui esprime tutta la sua
irrefrenabile passione: «Perché non mi guardasti? Se tu mi avessi guardata, mi
avresti amata. Lo so bene, mi avresti amata. E il mistero della morte è più
grande del mistero dell’amore». Il suo canto ha termine solo quando, afferrata
al colmo dell’eccitazione la testa di Jochanaan, la fanciulla ne bacia la bocca
sanguinante. Sulla reggia cala una tetra oscurità, rischiarata appena da una
raggio di luna. Erode, sopraffatto dall’orrore del bacio necrofilo di Salome,
ordina ai soldati di uccidere la figliastra.