22 ottobre 2014

“La porta della legge” al Teatro Malibran di Venezia

Venerdì 24 ottobre alle ore 19.00, l’opera in un atto di Salvatore Sciarrino, su libretto dello stesso compositore (dalla parabola “Vor dem Gesetz” di Kafka) andrà in scena in prima italiana. Sul podio, Tito Ceccherini; regia di Johannes Weigand

 

 

Venerdì 24 ottobre 2014 alle ore 19.00 andrà in scena al Teatro Malibran, ultimo appuntamento della Stagione lirica 2013-2014, la prima rappresentazione italiana dell’opera in un atto di Salvatore Sciarrino La porta della legge, basata su un libretto dello stesso compositore tratto dalla parabola Vor dem Gesetz (Davanti alla legge) di Franz Kafka, e definita dall’autore «quasi un monologo circolare».


L’opera, scritta su commissione delle Wuppertaler Bühnen, sarà presentata nell’allestimento prodotto dalla compagnia tedesca per la prima assoluta, che ebbe luogo il 25 aprile 2009 all’Opernhaus di Wuppertal. La regia è di Johannes Weigand, le scene e i costumi di Jürgen Lier e il video della scena terza di Jakob Creutzburg. Tito Ceccherini, che diresse l’opera a Mannheim nel 2009 e 2010, dirigerà l’Orchestra del Teatro La Fenice e il piccolo cast formato dal basso-baritono Ekkehard Abele nel ruolo dell’uomo 1, dal basso Michael Tews nel ruolo dell’usciere e dal controtenore Roland Schneider nel ruolo dell’uomo 2.

La prima di venerdì 24 ottobre (che sarà registrata e trasmessa in differita da Rai Radio3) sarà seguita da quattro repliche, domenica 26 (turno C) alle 15.30, martedì 28 (turno D) e giovedì 30 (turno E) alle 19.00, e domenica 2 novembre (turno B) alle 15.30. La pomeridiana di domenica 2 novembre rientra nell’iniziativa «La Fenice per la provincia». L’opera è cantata in italiano con sopratitoli.

Incorporato nel capitolo IX del romanzo incompiuto Il processo, il racconto Davanti alla legge fu pubblicato autonomamente da Kafka nel 1915 nel settimanale ebraico «Sebstwehr». In esso un anonimo «uomo di campagna» chiede a un altrettanto anonimo guardiano di accedere alla legge, la cui porta è sempre aperta. L’usciere nega il permesso, ma non esclude che l’uomo possa essere ammesso in seguito, pur sottolineando l’improbabilità di un esito positivo. L’uomo attende per anni davanti alla porta, inutilmente. Poco prima di morire domanda come mai nessun altro sia venuto a chiedere di essere ammesso e l’usciere risponde che quella porta era riservata a lui solo e ora, con la sua morte, verrà richiusa.

Su questa scarna ed enigmatica trama Salvatore Sciarrino (1947-) ha basato la sua penultima opera teatrale, La porta della legge, rappresentata per la prima volta il 25 aprile 2009 all’Opera di Wuppertal, che l’aveva commissionata, e ripresa poi nel luglio 2009 a Mannheim, nel luglio 2010 al Lincoln Center di New York, nel marzo 2012 a Bogotá, nel giugno 2012 a Ostrava e ora nell’ottobre 2014, in prima italiana, a Venezia. Con un’allusione dichiarata alla situazione politica italiana – testimoniata dalla premessa alla partitura, in cui con insolita asprezza Sciarrino esplicita l’attualità dell’opera – il compositore siciliano mette a nudo il potere tirannico esercitato dalla burocrazia tanto nei regimi totalitari quanto nelle democrazie in crisi, dove una cronica mancanza di comunicazione tra apparato di potere autoreferenziale e cittadino incapace di uscire dall’isolamento cui è condannato da un’irreparabile disgregazione sociale è causa di morte e immobilità per l’individuo e per la società.

L’indifferenza del sistema politico di fronte ai bisogni della comunità si rispecchia nella maniera in cui la vicenda dell’opera è raggelata nel tempo, sintetizzata nel sottotitolo «quasi un monologo circolare». Se apparentemente, nello scambio tra uomo e usciere, la narrazione ha una struttura dialogica, le continue ripetizioni di frammenti di discorso, le oniriche sonorità orchestrali e il fatto che l’uomo agisca e contemporaneamente descriva le sue azioni la spostano verso una dimensione monologante («quasi un monologo») di sofferenza psichica quasi patologica, come se l’uomo rivivesse in punto di morte l’assurdità della sua storia. L’aggettivo «circolare» allude invece all’intuizione drammaturgica sciarriniana di ripetere per tre volte la stessa vicenda, con parole e musica leggermente variate ma struttura analoga, dapprima (scena 1) con un «uomo 1» impersonato da un baritono, poi (scena 2) con un «uomo 2» cantato da un controtenore, e infine (scena 3) con i due uomini sincronizzati ma inconsapevoli l’uno dell’altro, alle prese con lo stesso, inflessibile usciere. Come cioè se quella scena potesse ripetersi all’infinito, con cittadini sempre diversi e sempre impotenti di fronte all’assurdità di un potere fine a se stesso.

L’inquietante spazio sonoro che contiene l’eloquio lacerato dell’uomo e le risposte ironiche o distaccate dell’usciere, punteggiato da impulsi ritmici di due pianoforti, due grancasse, campane, log drum, tam-tam e marimbone, è suddiviso su tre livelli. Il primo costituisce un fondale sonoro quasi impercettibile, affidato ai respiri, raschiamenti, fruscii di flauti, ottoni, archi sul legno della cassa, lastra d’acciaio; il secondo contiene interiezioni più aggressive, spesso collegate al personaggio dell’usciere: suoni multipli dei legni, frullati degli ottoni, glissandi d’armonici naturali degli archi; il terzo, in primo piano, propone frammenti melodici della viola sola, del flauto solo, del violoncello solo o del clarinetto contrabbasso, che contrappuntano e commentano il dialogo dei protagonisti.


(comunicato stampa)