11 marzo 2014

Incontro ravvicinato con… Vovka Ashkenazy

«Adoro il livello di comunicazione che si crea fra i musicisti quando lavorano e si esibiscono insieme: trovo che ciò sublimi sia il livello musicale sia quello artistico che ognuno, singolarmente, riesce a delineare»


In casa ha respirato musica fin dalla nascita. Avvicinarsi allo studio di uno strumento musicale in tenerissima età è stata una scelta naturale o in qualche modo obbligata? È stata assolutamente una scelta naturale, proprio come continuare a respirare.


E il pianoforte?
Fino a dove la memoria mi porta, il pianoforte è sempre stato il solo “mio” strumento.

Come e quando ha capito che la musica sarebbe diventata la sua professione?
A 14 anni i miei genitori dopo avermi sentito suonare in un concerto di studenti del Conservatorio a Reykjavik, si complimentarono con me: in quel momento capii quale sarebbe stata la mia strada professionale.




Il suo primo maestro di pianoforte è stato Rögnvaldur Sigurjónsson ma, naturalmente, ha studiato anche con suo padre, Vladimir. Quali sono gli insegnamenti principali che le ha trasmesso? Principalmente, mio padre ha sempre insistito sulla primordiale importanza della linea musicale di un brano: da lui ho imparato a studiare ripetendo ancora e ancora e ancora… Alla continua ricerca della perfezione.

Durante la sua crescita musicale il “confronto” diretto e costante con suo padre sarà stato sicuramente fonte di grande stimolo: è stato mai, in qualche modo, anche un confronto “ingombrante”? È sempre stato, un po’, come due facce della stessa medaglia: da un lato, avere un padre così famoso ha probabilmente aperto certe porte; dall’altro, il solo “nome” a volte genera a priori certe aspettative da parte di organizzatori e agenti. Sono felice di dire, in ogni caso, che non ho mai incontrato problemi con il pubblico che ha sempre dimostrato di apprezzare ciò che potevo offrire.

Ci sono state altre figure di riferimento importanti nella sua esperienza musicale?
Naturalmente sono stato notevolmente influenzato da insegnanti come Leon Fleisher e Peter Frankl. Se parliamo, invece, di esempi a livello interpretativo le mie figure di riferimento principali sono state, oltre a mio padre: Arturo Benedetti Michelangeli, Sviatoslav Richter ed Emil Gilels. Senza dimenticare mia madre, musicista d’eccezione [la pianista Thorunn Sofia Johannsdottir, n.d.r.]

Il suo debutto è avvenuto a Londra, al Barbarican Centre, con il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di Tchaikovsky. Cosa ricorda di quell’esperienza?
Ero naturalmente molto nervoso, ma fortunatamente suonai abbastanza bene: fu una bellissima esperienza poter lavorare con Richard Hickox, grande musicista del quale sentiamo tutti la mancanza.

I suoi interessi, negli anni, si sono concentrati principalmente sulla musica da camera. Come mai?
Adoro il livello di comunicazione che si crea fra i musicisti quando lavorano e si esibiscono insieme: trovo che ciò sublimi sia il livello musicale, sia quello artistico che ognuno, singolarmente, riesce a delineare.




Le collaborazioni musicali con suo padre sono state e sono numerose: con lui ha suonato e inciso, ad esempio, il repertorio russo e francese per due pianoforti e per pianoforte a quattro mani, ma è stato anche in diverse occasioni diretto da lui. Suona spessissimo anche con suo fratello Dimitri, con il quale ha effettuato numerose tournée e incisioni… Mi ritengo estremamente fortunato a essere circondato da grandi musicisti, sia familiari che colleghi, con i quali ho la possibilità di potermi esibire regolarmente a un altissimo livello qualitativo e musicale.

Dedica molto tempo anche all’insegnamento. Quali suggerimenti dà maggiormente ai giovani che desiderano intraprendere una carriera concertistica?
Personalmente, come insegnante mi ritengo esclusivamente in grado di accompagnare i miei allievi per ciò che concerne la “crescita” musicale. Trovo che consigliare il percorso per una carriera sia una cosa molto ardua: non ci sono certezze, a eccezione di formidabili doti e fortuna. Una carriera musicale, secondo me, dovrebbe essere la conseguenza naturale della propria dedizione alla musica e al “fare musica”. Fare carriera è molto diverso dal suonare.

Si è dedicato a molte iniziative di beneficienza come “Action for Children”, Cystic Fibrosis Trust”, “Bridfee Peace Foundation”. In che modo la musica può essere utile?
Credo che la musica abbia un’importanza fondamentale, non solo perché è una delle grandi arti, ma anche per la sua funzione di ambasciatrice di pace. La considero anche una forma di psicoterapia, un modo per potersi sviluppare a livello intellettuale oltre che sul fronte della coordinazione fisica. Forse è anche un modo d’incoraggiare l’innata generosità umana: proprio per questo trovo immediato e diretto il collegamento tra la musica e le iniziative benefiche.

È diventato direttore artistico del Concorso Pianistico Internazionale “Rina Sala Gallo”. È un concorso di grande importanza e con una lunga tradizione. Quest’anno sarà la 23a edizione e sono state introdotte rilevanti novità. In primis, c’è stata la decisione di effettuare una preselezione sulla base di DVD registrati: poi, è stato anche aumentato il minutaggio delle prove, offrendo così ai concorrenti un maggiore spazio per suonare.

Quanto sono importanti, a suo avviso, i concorsi per un giovane musicista?
I concorsi possono essere un’opportunità, per i giovani musicisti, per provare cosa voglia dire esibirsi sotto un’estrema pressione, ma anche una possibilità per arricchirsi e imparare attraverso l’incontro con altri musicisti. Inoltre, un concorso offre anche l’occasione di  farsi ascoltare da persone coinvolte nell’organizzazione di concerti ed eventi musicali in generale: quindi, può dimostrarsi molto positivo e importante per alcuni. Credo, comunque, che dipenda sempre molto dal singolo individuo.

Adriana Benignetti