06 marzo 2014

Amalia Signorelli incontra il pubblico del Teatro di San Carlo

Domenica 9 marzo, in occasione dell'ultima replica di “Evgenij Onegin” delle ore 19.00, durante il primo intervallo, l'antropologa Amalia Signorelli incontrerà il pubblico per una riflessione sulla figura femminile nella nostra contemporaneità


La donna moderna ricerca l’autonomia e le regole cui essere fedele. Siamo sicuri che la Tat'jana di Onegin in fondo non abbia scelto in questa direzione?




È da questo interrogativo, e dal personaggio di Tat'jana – troppo spesso  letto e interpretato da una sensibilità esclusivamente maschile – che partirà la riflessione sulla figura della donna nella società di oggi di Amalia Signorelli. Antropologa culturale, docente nelle Università di Urbino, Roma e Napoli, la Signorelli – che ha condotto ricerche in particolare sui processi di modernizzazione dell’Italia meridionale, sulle migrazioni, sulla condizione femminile, sulle culture urbane – incontrerà il pubblico del Teatro di San Carlo durante il primo intervallo dell’ultima replica di “Evgenij Onegindomenica 9 marzo alle ore 19.00.


Nata a Roma, Amalia Signorelli ha insegnato nelle Università di Urbino, Napoli e Roma ed è stata invitata in alcune Università straniere. In quanto antropologa culturale, da sola o partecipando a gruppi, ha fatto molte ricerche: sui processi di modernizzazione dell’Italia meridionale, sulle migrazioni, sulla condizione femminile, sulle culture urbane. Tra i suoi libri, il più attuale, anche se non il più recente, è del 1983: si chiama Chi può e chi aspetta. Giovani e clientelismo in un'area interna del Mezzogiorno.(Liguori,Napoli) e dimostra che già in quella data era possibile prevedere lo sfascio politico-istituzionale in cui siamo piombati oggi in Italia. Infatti uno degli obiettivi che Amalia Signorelli ora si pone è capire perché la nostra classe dirigente prenda sistematicamente decisioni i cui nefasti effetti sono largamente prevedibili; e perché gli italiani continuano a lasciarglielo fare. L'antropologa sostiene che si tratta di una questione di mentalità e dunque un oggetto preferenziale per l’antropologia culturale.

Adriana Benignetti