Don Carlo
Dramma lirico in cinque atti
Dramma lirico in cinque atti
Musica
Giuseppe Verdi (Le Roncole, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio
1901)
Libretto
François-Joseph Méry e Camille Du Locle,
dal poema drammatico Don Carlos, Infant
von Spanien di Friedrich Schiller
Prima rappresentazione
Parigi, Opéra, 11
marzo 1867 (seconda versione, italiana in 4 atti: Milano, Teatro alla Scala, 10 gennaio 1884)
Personaggi:
Filippo
II, re di Spagna (basso)
Don
Carlo, infante di Spagna (tenore)
Rodrigo,
marchese di Posa (baritono)
Il
grande Inquisitore (basso)
Un frate
(basso)
Elisabetta
di Valois (soprano)
Tebaldo,
suo paggio (soprano)
La
principessa Eboli (mezzosoprano)
Il
conte Lerma (tenore)
La
contessa d’Aremberg (mimo)
L’araldo
reale (tenore)
Sei
deputati fiamminghi (bassi)
Sei
inquisitori (bassi)
Signori
e dame delle corti di Francia e Spagna, boscaioli, popolo, paggi, guardie di
Enrico II e di Filippo II, frati e soldati.
Il soggetto della versione italiana del 1884
(testo di Alberto Bentivoglio ©Teatro alla Scala)
Atto primo
Parte prima
Il chiostro del
convento di San Giusto.
Un
frate prega innanzi alla tomba di Carlo V, mentre Don Carlo, infante di Spagna,
ricorda il primo incontro con l’amata Elisabetta di Valois, sua promessa sposa,
ma ora moglie del padre Filippo II e regina di Spagna (Aria: “Io la vidi e il
suo sorriso”). All’apparire di Rodrigo, marchese di Posa – che, di ritorno
dalle Fiandre, annuncia la sollevazione di quella regione vessata dalla corona
spagnola – Carlo ha un moto di gioia. Egli può confidare il proprio amore per
Elisabetta all’amico che, pronto a soccorrerlo, gli ingiunge di dimenticare i
propri affanni, recandosi nelle Fiandre per placare le persecuzioni religiose.
Al termine del colloquio, Carlo e Rodrigo si giurano reciproca amicizia, mentre
il re e la regina attraversano il chiostro per entrare nel convento (Duetto:
“Dio,che nell’alma infondere”).
Parte seconda
Un sito ridente alle
porte del chiostro di San Giusto.
Le
dame di corte attendono la regina, mentre la principessa d’Eboli intona una
canzone, accompagnata dal paggio Tebaldo (Aria: “Nel giardin del bello”).Al suo
arrivo,Elisabetta in- contra il marchese di Posa, dalle cui mani riceve una
lettera inviatale dalla madre e – nascostamente – un biglietto in cui Carlo la
prega di affidarsi a Rodrigo. Questi la invita a incontrare il figlio e a
perorarne la causa presso il re (Aria:“Carlo,ch’è sol”).Eboli,a sua volta,crede
di riconoscere nell’agitato stato d’animo di Carlo – che ella segretamente ama
– una prova d’amore nei suoi confronti. Introdotto al cospetto della regina, il
giovane chiede a Elisa- betta di intercedere presso il re affinché gli conceda
di partire per le Fiandre. Ma ben presto il dialogo si muta in una
dichiarazione d’amore, interrotta da Elisabetta che ricorda a Carlo
l’impossibilità di realizzare la loro unione (Duetto: “Perduto ben, mio sol
tesor”). Il giovane si allontana disperato,mentre la regina – rimasta sola –
implora l’aiuto divino. Sopraggiunge il re, che, trovata la consorte senza il
seguito reale, bandisce la contessa d’Aremberg, rea di essersi allontanata
dalla sovrana. La partenza della dama è salutata dalle dolci parole di
Elisabetta (Aria: “Non pianger, mia compagna”). Filippo ingiunge al marchese di
Posa di trattenersi con lui. Restati soli, Rodrigo narra al sovrano la triste
condizione in cui versano le Fiandre e lo invita a concedere l’autonomia a quei
territori. Il monarca non accoglie tale richiesta, ma – dopo avergli ricordato
il terribile potere del grande inquisitore – rivela al marchese le proprie
pene: egli è conscio del sentimento che lega Carlo a Elisabetta e incarica
Rodrigo di sorvegliare la giovane coppia. Il marchese accoglie con gioia la
proposta del re che lo congeda, dopo averlo messo nuovamente in guardia contro
il grande inquisitore (Duetto:“O signor,di Fiandra arrivo”).
Atto
secondo
Parte prima
I giardini della
regina a Madrid.
Al
ballo della regina, l’affaticata Elisabetta chiede a Eboli di prendere il suo
posto, indossando il suo manto, i gioielli e la maschera. Eboli, travestita da
regina, consegna a un paggio un biglietto galante per Carlo. Carlo, ingannato
da un biglietto che lo invita a un appuntamento notturno, si prepara a un
convegno amoroso con Elisabetta. Appare, invece – con il volto velato – la
principessa d’Eboli, alla quale egli dichiara il proprio amore (Duetto:“Sei
tu,bella adorata”).Quando il giovane si accorge dell’equivoco, non riesce,
tuttavia, a celare un moto di stupore. Eboli comprende, allora, il segreto
rapporto che lega Carlo alla regina e – folle di gelosia – giura di vendicarsi.
A nulla vale l’intervento di Rodrigo che cerca di giustificare l’amico e
minaccia di morte Eboli, per imporle il silenzio (Terzetto:“Al mio furor
sfuggite invano”). Il marchese di Posa invita, quindi, Carlo a consegnargli i
documenti provenienti dalle Fiandre,che tiene presso di sé.
Parte seconda
Una gran piazza
innanzi Nostra Donna d’Atocha.
Il
popolo canta la propria gioia, mentre i frati conducono al rogo i condannati
dal Santo Uffizio (Coro: “Spuntato ecco il dì d’esultanza”). Dopo l’ingresso
della corte, un gruppo di fiamminghi – guidati da Carlo – si getta ai piedi del
sovrano, invocando giustizia per la propria patria. Filippo rifiuta di
ascoltarli e dà ordine di allontanare i ribelli (Concertato: “Sire, no, l’ora
estrema”). Carlo, allora, dopo avere vanamente richiesto al padre il permesso
di recarsi nelle Fiandre, sguainando la spada, si schiera al fianco del popolo
fiammingo. Il sovrano risponde all’affronto ordinando di disarmare il figlio,
che nessuno osa avvicinare. Solo l’intervento di Rodrigo evita lo scontro
diretto: egli toglie la spada all’infante e la porge al re. Il corteo riprende
il suo cammino per assistere al supplizio degli eretici, mentre una voce dal
cielo invoca la pace eterna.
Atto
terzo
Parte prima
Il gabinetto del re a
Madrid.
Filippo
medita sulle difficoltà della vita di un sovrano (Aria: “Dormirò sol nel manto
mio regal”). Egli richiede, inoltre, una punizione per il figlio al grande
inquisitore che, a sua volta, propone una condanna per Rodrigo, colpevole della
ribellione di Carlo. Ma il sovrano si oppone a tale risoluzione e – dopo un
duro scontro – resta nuovamente solo. Giunge Elisabetta, che denuncia la
scomparsa di uno scrigno – consegnato, a sua insaputa, dalla principessa
d’Eboli al re – dove è custodito un ritratto di Carlo. Invano la regina
proclama la propria onestà allo sposo che la accusa di adulterio.
Sopraggiungono Eboli, lacerata dai rimorsi, e Rodrigo, che comprende di poter
salvare Carlo solo sacrificando la propria vita (Quartetto: “Ah! sii maledetto,
sospetto fatale”). La principessa confessa le proprie colpe alla regina che le
ordina di la- sciare la corte. Eboli deplora gli effetti della sua bellezza e
si ripromette di salvare Carlo dal pericolo che lo minaccia (Aria: “O don
fatale,o don crudel”).
Parte seconda
La prigione di Don
Carlo
Rodrigo
annuncia a Carlo – rinchiuso dal padre in una prigione – che presto sarà
libero: per scagionarlo da ogni colpa, egli si è fatto trovare in possesso dei
documenti che l’infante gli aveva affidato (Aria:“Per me giunto è il dì
supremo”). Un colpo d’archibugio colpisce alle spalle Rodrigo, il quale,
morendo, annuncia a Carlo il prossimo incontro con Elisabetta nel convento di
San Giusto e gli raccomanda la causa fiamminga. Filippo, giunto nel carcere per
liberare il figlio, viene da questi accusato dell’uccisione di Rodrigo. Carlo
afferma inoltre che Rodrigo si è sacrificato per lui. Anche Filippo piange la
morte dell’amico Rodrigo, rimpiangendone la fiera nobiltà d’animo, mentre gli
astanti sono indignati per gli orrori del regno di Spagna. Il popolo,
inneggiando all’infante, irrompe nella prigione. Solo l’improvvisa apparizione
del grande inquisitore riesce a domare la rabbia del popolo, che si inginocchia
dinnanzi al sovrano.
Atto
quarto
Il chiostro del
convento di San Giusto.
Elisabetta
evoca le gioie della fanciullezza e il suo amore per Carlo (Aria: “Tu che le vanità
conoscesti del mondo”). Nuovamente insieme, i due amanti si scambiano l’ultimo
addio: l’infante lascerà la Spagna e si recherà nelle Fiandre dove combatterà
per la libertà (Duetto: “Ma lassù ci vedremo”). Ma il congedo è interrotto
dall’irrompere di Filippo, del grande inquisitore e delle guardie del Santo
Uffizio. Quando Carlo sta per essere tratto in arresto, appare Carlo V che –
fra il terrore dei presenti – afferra il nipote e lo trascina con sé.
Adriana Benignetti