08 settembre 2013

Quando il rock e la danza s’incontrano in Scala

Una calorosa accoglienza, venerdì scorso, per la prima de “L’altra metà del cielo”, spettacolo firmato da Vasco Rossi e Martha Clarke, in scena al Teatro alla Scala fino al 13 settembre

«Il mondo rock e quello della danza classica possono sembrare molto distanti tra loro; in realtà si tratta di due espressioni artistiche che usano il linguaggio del corpo, ed entrambi sono viscerali. Il rock e la danza sono animati dalla stessa energia e dalla stessa sensualità: la musica sale da dentro e il corpo traduce le sensazioni, le emozioni». Vasco Rossi


«Lo spazio chiuso è quello soggettivo di Vasco, fuori c’è un non si sa che; e il tutto è sospeso tra terra e cielo, tra la concretezza di un uomo che guarda il mondo femminile “da cattivo ragazzo” e le fantasie e metafore che possono scaturire dalla sue parole, ma in un tempo, senza tempo, contemporaneo e anche no. Le tredici canzoni del balletto sono state scritte in trent’anni di carriera; si è cercato un tempo che le abbracciasse tutte, e uno stile: senza essere datati». Martha Clarke

Quando un anno fa L’altra metà del cielo fu rappresentato per la prima volta al Teatro alla Scala, nonostante lo strepitoso successo di pubblico, furono in molti a storcere il naso: i critici, in primis, ma anche una parte dei fedelissimi del Balletto scaligero. “Cosa c’entra Vasco con la Scala” o “Dov’è il balletto?” erano, tra loro, le domande più ricorrenti.

È indubbio che se si guarda L’altra metà del cielo avendo come metro di paragone uno qualsiasi dei tanti balletti del grande repertorio il rischio di delusione c’è ed è forte: nessun virtuosismo tecnico, nessuna scenografia che rimandi a Paesi lontani o immaginari, nessun costume d’epoca, né una trama avvincente e coinvolgente a fare da sfondo agli avvenimenti.

Sono pochi questa volta gli elementi che riempiono la scena, come pochi sono i protagonisti. Tutto è semplice ed essenziale. 3 tipi differenti di donna – Albachiara, Silvia e Susanna – raccontate durante 4 fasi della loro vita (adolescenza, maturità, crescita e abbandono); le canzoni di Vasco a evidenziarne carattere ed emozioni vissute; una semplice stanza a fare da cornice. Un “viaggio nell’universo femminile”, come lo ha definito lo stesso cantautore, molto più vicino al “teatro danza” che al balletto.

E, in effetti, definire questo spettacolo balletto è, da un certo punto di vista, improprio; come senza senso è approcciarsi ad esso avendo in mente paragoni. Si potrebbe, più semplicemente, evitare le definizioni e parlare di un incontro tra mondi distanti e, almeno in apparenza, inconciliabili, tra culture differenti, tra diversi modi di intendere e utilizzare il linguaggio del corpo.

Un incontro nel quale ognuna delle parti in gioco rinuncia a qualcosa di proprio, acquisisce qualcosa dell’altro e ne esce, forse arricchita, sicuramente modificata.

Vasco Rossi, indubbiamente, lascia a casa la sua parte più rock e in qualche modo aggressiva: le 13 canzoni che fanno da sfondo allo spettacolo, nonostante siano tra le più celebri del suo repertorio, rivisitate e riorchestrate in chiave classica da Celso Valli – che dell’originale ha mantenuto intatta la sola linea melodica –, assumono una nuova valenza. E la stessa voce di Vasco che, per l’occasione ha cantato e registrato ex novo tutti i brani, sembra differente, più essenziale e intensa. Bellissimo, a tal proposito, l’inizio della terza parte dove Vasco canta da solo, senza nessuno strumento di sottofondo, “e tu chissà dove sei… anima fragile”. Martha Clarke, indubbiamente, rinuncia a parte del suo spirito teatrale, offrendo una coreografia essenziale e lineare che bene aderisce alle emozioni suggerite dalle canzoni. Infine, i ballerini, liberati da body, scarpette, tutù e difficoltà tecniche, sono chiamati a mettere in primo piano se stessi e a lavorare molto di più sull’azione, sull’espressione e sulla comunicazione dei sentimenti e delle emozioni, che non sulla danza in sé.

Ed è il loro, senza dubbio, il compito più arduo. Compito egregiamente svolto dai ballerini del Corpo di Ballo e principalmente da Sabrina Brazzo (alla quale è anche affidata l’unica canzone interamente danzata sulle punte), Stefania Ballone e Beatrice Carbone, le tre protagoniste del debutto di venerdì 6 settembre, accompagnate, rispettivamente, da Mick Zeni, Fabio Saglibene e Antonino Sutera. Egregiamente perché hanno dimostrato grandissima duttilità ed elasticità, doti attoriali non indifferenti e capacità di mettersi in discussione profondamente, come ballerini, innanzi tutto, ma anche e soprattutto come persone.

L’unica vera pecca di questo gradevole e per tanti versi proficuo incontro è, a mio parere, la scelta di non eseguire la musica dal vivo. Una scelta che Celso Valli così giustifica: “ […] In questo modo il suono rimane sempre lo stesso, ma poiché è stato registrato da solo (non avendo rientri di altri strumenti, di altri musicisti che suonano vicino), è plasmabile: si può alzare, abbassare, equalizzare nella fase di mixaggio. E il tutto genera un suono un po’ più diretto e accattivante”. Si potrebbe replicare, a ragion veduta, che non c’è nulla di più diretto e accattivante di un’esecuzione dal vivo, di un suono che non è mai uguale a se stesso e che, nella diversità di ogni interpretazione, può solamente aggiungere e arricchire.
  


Adriana Benignetti

N.B. Tutte le foto sono di Brescia-Amisano (©Teatro alla Scala)