10 agosto 2013

Martha Graham

«L'ultima volta che ho ballato era in Cortege of Eagles [...] non avevo programmato di smettere in quell’occasione. Ma fu una decisione terribile che dovetti prendere»

«Le nostre braccia hanno origine dalla schiena perché un tempo erano ali»

«La danza è il linguaggio nascosto dell'anima».

«La danza è una canzone del corpo. Sia essa di gioia o di dolore».

Martha Graham




“Terribile”: fu così che nella sua biografia ufficiale, Bloody Memory, Martha Graham (Allegheny, 11 maggio 1894 – New York, 1 aprile 1991) apostrofò la sua decisione di smettere di ballare. Aveva 76 anni ormai: eppure, a quella decisione seguirono momenti bui, segnati dalla depressione e dall’abuso di alcol. E quando, il 1 aprile del 1991, la grande ballerina e coreografa si spense, stava lavorando a un balletto per i Giochi Olimpici di Barcellona. Un amore, quello per la danza, che la Graham aveva conosciuto relativamente tardi rispetto ai consueti e tradizionali percorsi dei ballerini: a 16 anni, quando a Los Angeles aveva assistito a un balletto con protagonista Ruth St. Denis.



Immediatamente, in quell’occasione, comprese che ballare sarebbe stata la sua professione, o meglio la sua vita, e non abbandonò mai più quell’amore: lo alimentò, giorno dopo giorno, con passione, curiosità e voracità, lasciando in quel mondo un segno indelebile e fondamentale. Iniziò a studiare danza e teatro e in pochi anni bruciò molte tappe: nel 1916 entrò a far parte di Denishawn, compagnia creata proprio dalla St. Denis e da suo marito Ted Shawn e in breve arrivano i grandi successi. In particolare, è grazie a Xochital, balletto scritto da Sahwn appositamente per lei, che, nel 1920, la Graham si fa conoscere dal grande pubblico e dalla critica, entrambi conquistati in primis dalla sua intensità e comunicatività.


Risale a quel periodo anche un incontro fondamentale, quello con il compositore Louis Horst che influenzerà profondamente la sua visione artistica: insieme a lui nel 1923 si trasferì a Rochester (New York) dove iniziò a insegnare alla Eastman School of Rochester e nella Grande Mela, 3 anni dopo, debuttò con proprie coreografie. Ballare, insegnare e creare coreografie sembrava non bastarle, però: perché era la sua stessa idea di danza a spingerla continuamente e perennemente alla sperimentazione. Grazie alla fondazione, nel 1926, della Martha Graham Dance Company, la sperimentazione diventa perenne e le idee prendono forma, si sviluppano e si affinano.

Nella sua visione artistica la danza diventa “malleabile”, adattandosi di volta in volta alle caratteristiche e alle peculiarità dei ballerini: e, al centro di tutto, è l’emozione a farla da padrona. L’esigenza di comunicare, di esprimersi, grazie a un linguaggio non verbale recuperato nella propria totalità. Appese le scarpette a punta al chiodo e sviluppata una nuova tecnica di respirazione, la Graham recupera una visione arcaica, primitiva, del ballo: gli dona una funzione catartica, e per certi versi sociale. I piedi nudi fanno riconquistare un contatto profondo con il suolo, con la terra: la respirazione, nel suo alternarsi di contrazione e rilascio, permette di esasperare il principale atto fisiologico dell’uomo. E i corpi dei ballerini diventano ormai liberi di esprimere al meglio emozioni profonde e di riportare in superficie paure, inquietudini, sofferenze.




Tra i suoi balletti Seraphic (1955), che attraverso il solo movimento del corpo fa rivivere la storia di Giovanna D’Arco, è considerato da molti il capolavoro: ma il segno indelebile, riconoscibile della Graham è visibile fin dalle prime coreografie. Come quella pensata per Heretic del 1929 o per Frontier del 1935 su musiche di Horst e scenografie dello scultore Isamu Noguchi.




Profondamente apprezzata da ballerini classici come Margot Fontenyn, Rudolf Nureyev e Mikhail Baryshnikov, la “madre della danza moderna” (come venne presto definita) fu capace di influenzare anche attori e cantanti (Bette Davis, Kirk Douglas, Madonna e Liza Minelli, tra gli altri), desiderosi di apprendere come sfruttare al meglio le potenzialità espressive dei loro corpi.

E ancora oggi, le sue circa 180 creazioni, continuano ad affascinare e influenzare generazioni e generazioni di artisti, in maniera trasversale, senza alcuna distinzione di generi.


Un corpo tanto minuto quanto espressivo, quello della Graham, che la fotografa Barbara Morgan ha sapientemente immortalato e documentato: lasciando traccia delle metamorfosi che quel corpo negli anni subì e realizzando, nel 1941, Sixteen Dances in Photographs, splendida opera, che documenta la più celebri coreografie. Fra queste anche Letter to the World, forse la più conosciuta e amata tra le creazioni della Graham.



Premiata nel 1976 con la “Medaglia della Libertà” (la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti) e nel 1984 con la “Lègion d’Honneur” dal Governo francese, nominata nel 1998 da Time “Danzatrice del secolo”, la Graham è stata anche la prima ballerina a danzare alla Casa Bianca e la prima grande ambasciatrice culturale all’estero.



Adriana Benignetti
Martha Graham