«L'ultima volta che ho ballato
era in Cortege of Eagles [...] non avevo programmato di smettere in quell’occasione.
Ma fu una decisione terribile che dovetti prendere»
«La danza è il
linguaggio nascosto dell'anima».
«La danza è
una canzone del corpo. Sia essa di gioia o di dolore».
Martha Graham
Martha Graham
“Terribile”: fu così che nella sua
biografia ufficiale, Bloody Memory, Martha
Graham (Allegheny, 11 maggio 1894 – New York, 1 aprile 1991) apostrofò la sua decisione di smettere di ballare. Aveva 76 anni ormai:
eppure, a quella decisione seguirono momenti bui, segnati dalla depressione e
dall’abuso di alcol. E quando, il 1 aprile del 1991, la grande ballerina e
coreografa si spense, stava lavorando a un balletto per i Giochi Olimpici di
Barcellona. Un amore, quello per la danza, che la Graham aveva conosciuto
relativamente tardi rispetto ai consueti e tradizionali percorsi dei ballerini:
a 16 anni, quando a Los Angeles aveva assistito a un balletto con protagonista
Ruth St. Denis.
Immediatamente, in quell’occasione,
comprese che ballare sarebbe stata la sua professione, o meglio la sua vita, e
non abbandonò mai più quell’amore: lo alimentò, giorno dopo giorno, con
passione, curiosità e voracità, lasciando in quel mondo un segno indelebile e
fondamentale. Iniziò a studiare danza e teatro e in pochi anni bruciò molte
tappe: nel 1916 entrò a far parte di Denishawn, compagnia creata proprio dalla
St. Denis e da suo marito Ted Shawn e in breve arrivano i grandi successi. In
particolare, è grazie a Xochital,
balletto scritto da Sahwn appositamente per lei, che, nel 1920, la Graham si fa
conoscere dal grande pubblico e dalla critica, entrambi conquistati in primis dalla sua intensità e
comunicatività.
Risale a quel periodo anche un incontro fondamentale, quello con il compositore Louis Horst che influenzerà profondamente la sua visione artistica: insieme a lui nel 1923 si trasferì a Rochester (New York) dove iniziò a insegnare alla Eastman School of Rochester e nella Grande Mela, 3 anni dopo, debuttò con proprie coreografie. Ballare, insegnare e creare coreografie sembrava non bastarle, però: perché era la sua stessa idea di danza a spingerla continuamente e perennemente alla sperimentazione. Grazie alla fondazione, nel 1926, della Martha Graham Dance Company, la sperimentazione diventa perenne e le idee prendono forma, si sviluppano e si affinano.
Risale a quel periodo anche un incontro fondamentale, quello con il compositore Louis Horst che influenzerà profondamente la sua visione artistica: insieme a lui nel 1923 si trasferì a Rochester (New York) dove iniziò a insegnare alla Eastman School of Rochester e nella Grande Mela, 3 anni dopo, debuttò con proprie coreografie. Ballare, insegnare e creare coreografie sembrava non bastarle, però: perché era la sua stessa idea di danza a spingerla continuamente e perennemente alla sperimentazione. Grazie alla fondazione, nel 1926, della Martha Graham Dance Company, la sperimentazione diventa perenne e le idee prendono forma, si sviluppano e si affinano.
Nella sua visione artistica la danza
diventa “malleabile”, adattandosi di volta in volta alle caratteristiche e alle
peculiarità dei ballerini: e, al centro di tutto, è l’emozione a farla da
padrona. L’esigenza di comunicare, di esprimersi, grazie a un linguaggio non
verbale recuperato nella propria totalità. Appese le scarpette a punta al
chiodo e sviluppata una nuova tecnica di respirazione, la Graham recupera una
visione arcaica, primitiva, del ballo: gli dona una funzione catartica, e per
certi versi sociale. I piedi nudi fanno riconquistare un contatto profondo con
il suolo, con la terra: la respirazione, nel suo alternarsi di contrazione e
rilascio, permette di esasperare il principale atto fisiologico dell’uomo. E i
corpi dei ballerini diventano ormai liberi di esprimere al meglio emozioni
profonde e di riportare in superficie paure, inquietudini, sofferenze.
Tra i suoi balletti Seraphic (1955), che attraverso il solo
movimento del corpo fa rivivere la storia di Giovanna D’Arco, è considerato da
molti il capolavoro: ma il segno indelebile, riconoscibile della Graham è
visibile fin dalle prime coreografie. Come quella pensata per Heretic del 1929 o per Frontier del 1935 su musiche di Horst e
scenografie dello scultore Isamu Noguchi.
Profondamente apprezzata da ballerini
classici come Margot Fontenyn, Rudolf Nureyev e Mikhail Baryshnikov, la “madre
della danza moderna” (come venne presto definita) fu capace di influenzare
anche attori e cantanti (Bette Davis, Kirk Douglas, Madonna e Liza Minelli, tra
gli altri), desiderosi di apprendere come sfruttare al meglio le potenzialità
espressive dei loro corpi.
E ancora oggi, le sue circa 180 creazioni,
continuano ad affascinare e influenzare generazioni e generazioni di artisti,
in maniera trasversale, senza alcuna distinzione di generi.
Un corpo tanto minuto quanto
espressivo, quello della Graham, che la fotografa Barbara Morgan ha sapientemente
immortalato e documentato: lasciando traccia delle metamorfosi che quel corpo
negli anni subì e realizzando, nel 1941, Sixteen
Dances in Photographs, splendida opera, che documenta la più celebri
coreografie. Fra queste anche Letter to
the World, forse la più conosciuta e amata tra le creazioni della Graham.
Premiata nel 1976 con la “Medaglia
della Libertà” (la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti) e nel 1984
con la “Lègion d’Honneur” dal Governo francese, nominata nel 1998 da Time “Danzatrice del secolo”, la Graham
è stata anche la prima ballerina a danzare alla Casa Bianca e la prima grande
ambasciatrice culturale all’estero.
Adriana Benignetti
Martha Graham