16 gennaio 2013

Incontro ravvicinato con… Simone Soldati

«Il provare emozioni profonde, condividere, aprire un varco di meraviglia e di speranza è una necessità e una costante dell’animo umano che trova nella musica, in ogni contesto, un attivatore di grande potere»


Come ti sei avvicinato alla musica?
In modo spontaneo, a 7 anni, grazie a una piccola tastiera. Mi accompagna ancora il fascino di avere un contatto con lo strumento e produrre un suono.

Ti sei perfezionato con diversi illustri pianisti: tra questi ce n’è uno in particolare che definiresti l’“incontro”?
Ricordo con affetto e stima Francesco Cipriano, il mio primo insegnante. Ognuno dei maestri che ho incontrato mi ha dato stimoli e strumenti per crescere e, per questo, sono loro grato. Con Andrea Lucchesini, in particolare ho lavorato a lungo e mi ha insegnato molte cose belle.

Sei consulente artistico di “Donatori di Musica”: mi parli di questa bellissima iniziativa?
Donatori di Musicaè una rete di musicisti, medici e operatori grazie alla quale si organizzano, in modo continuativo Stagioni di concerti negli ospedali che hanno aderito al progetto. Quest’iniziativa ha ricevuto, nell’ambito del Premio Abbiati, il Premio Siebaneck, uno dei massimi riconoscimenti assegnati dalla critica musicale italiana. Ho trovato meravigliosi riferimenti nei fondatori Maurizio Cantore, Andrea Mambrini – rispettivamente, primario e vice-primario del reparto di oncologia di Carrara, da dove tutto è iniziato seguendo la traccia dell’indimenticato Gian Andrea Lodovici – e Roberto Prosseda che ne è anche il coordinatore artistico. Questa è un’esperienza che mi sta a cuore, in cui si vive la circolarità del dono, si percepisce il senso forte del fare musica e, in generale, del fare arte. Il provare emozioni profonde, condividere, aprire un varco di meraviglia e di speranza è una necessità e una costante dell’animo umano che trova nella musica, in ogni contesto, un attivatore di grande potere.

Per te l’esperienza musicale ha un profondo valore sociale e culturale e ritieni che “i grandi classici, meravigliosi serbatoi di metafore, di stimoli, di ideali, possano e debbano essere vissuti da tutti per la grande capacità di parlare all’uomo di oggi”. 
Ci sono tante credenze limitanti riguardo al repertorio classico! La logica consumistica tende a soddisfare gusti facili e immediati per raccogliere un numero sempre più elevato di persone. Grandi capolavori e interpreti di livello assoluto hanno una diffusione mediatica inadeguata al loro valore e sono, si può dire, sconosciuti al grande pubblico. Credo che si debba lavorare per portare a un numero più elevato di persone, partendo dalle fasce più giovani, opere d’arte, di pensiero, che siano testimonianza della capacità d’ingegno e della sensibilità umana. Poi, è vero che i livelli di lettura possono avere diversa profondità ma intanto è importante far conoscere e far provare le sensazioni che può regalare l’ascolto. Non credo che il potenziale pubblico non sia pronto: vanno, però, destrutturate credenze assurde e purtroppo ben radicate per le quali, ad esempio non si ascolta Bach o Beethoven o Debussy perché “non si conoscono”. Ripeto, facciamo conoscere e percepire la capacità di scuotere l’emozione. Mozart, Beethoven, Brahms sono attuali e sono “giovani”!

E sono in grado di parlare ai giovani…
Certo! Vanno solo individuate le modalità giuste. Credo che dobbiamo dare, con continuità, occasioni di ascolto non mettendoci nella posizione di chi vuole “convincere” qualcuno della bellezza di questi capolavori perché rischia di entrare in una dinamica perdente e fuori luogo. Essendo la musica una forma di comunicazione, nel pensare un progetto è bene considerare a chi ci rivolgiamo e con quale obiettivo. Il carattere dei brani, i diversi linguaggi, le durate, la varietà di organici sono tutti aspetti da tenere presenti per disegnare un percorso interessante e capace di tenere viva l’attenzione e lo stupore. Mi piace, ad esempio, mettere in risalto le relazioni tra la musica e le altre forme espressive. Ho dedicato progetti a Pompeo Batoni, uno dei più grandi ritrattisti del ‘700, a Giovanni Pascoli e adesso ho in mente di lavorare su Mirò che diceva come Bach e Mozart lo avessero aiutato a conoscere la “linea”. Ho sperimentato più volte come creare delle situazioni di ascolto informali, anche in luoghi inconsueti, possa costituire un ideale biglietto d’ingresso per avvicinare allo spazio e all’esperienza del concerto nuove persone e soprattutto molti giovani. I “classici”, diceva Italo Calvino, sono tali perché non finiscono di dire ciò che hanno da dire. Si tratta di lavori che a centinaia di anni dalla loro creazione riescono a toccare le corde più profonde dell’essere umano. Ognuno, poi, sarà ovviamente libero di ascoltare ciò che vuole. È fondamentale, comunque, un quadro che veda la diffusione della pratica musicale sin da bambini: deve esserci, inoltre, una vera ed efficace unità d’intenti con le Istituzioni per dar vita a dei paradigmi efficaci e socialmente rilevanti.




A proposito di luoghi inconsueti e divulgazione, mi racconti della tua partecipazione al “Summer Festival”, una delle manifestazioni di musica pop-rock più importanti in Europa che si tiene a Lucca e durante la quale hai suonato i grandi classici a una platea di oltre 3.000 persone?
Ne parlo volentieri perché possiamo trarne un dato in relazione ai temi della nostra conversazione. La scorsa estate sono stato invitato a suonare in una serata che il “Summer Festival”, rassegna pop-rock giunta alla 15a edizione, ha voluto dedicare ad artisti che vivono a Lucca, città in cui si tiene la manifestazione. Di fronte a un pubblico di più di 3.000 persone ho suonato Bach (Preludio n. 1 dal Clavicembalo Ben Temperato), Puccini (Piccolo Valzer) Chopin (Studi n. 9 e n. 12 op. 10 e Ballata n. 1), Gershwin (Preludi). Alla parte classica si è aggiunta una selezione di brani tratti dalle grandi colonne sonore che sono parte di un progetto intitolato “InCanto Cinema” in cui suono insieme al soprano Susanna Rigacci. Ho introdotto la Ballata di Chopin dicendo: «Questo è un brano scritto da un giovane, quasi 200 anni fa, e ancora oggi, se lo si ascolta con il cuore, è in grado di raccontarci tanto della nostra avventura di esseri umani». Si trattava di una platea inconsueta, visto che la gran parte del pubblico non aveva familiarità con questo repertorio: tuttavia, la reazione è stata veramente di grande entusiasmo e coinvolgimento. Ho ricevuto, dopo il concerto, lettere da parte di persone presenti che mi chiedevano informazioni su dove poter ascoltare ancora la musica classica, magari anche con i loro bambini, e tutto questo continua ancora oggi! Ciò mi ha dato una grande soddisfazione. Ci sono stati anche bellissimi riscontri da parte di personaggi della cultura e di musicisti di livello internazionale che hanno percepito la novità e il valore di questa esperienza.

Hai dichiarato di guardare ai diversi generi musicali con sguardo aperto e non in termini di contrapposizione.
La musica, l’arte in generale, nasce come un riflesso della vita e, quindi, deve coprire  complessità e la varietà del reale: ci sono belle canzoni, con testi interessanti e poetici, e bravi interpreti che fanno storia: c’è la magia di un’improvvisazione jazz o l’energia del blues. L’importante è non ragionare in termini esclusivi ed evitare guazzabugli senza senso. Tenere lo sguardo aperto e non agire in termini di contrapposizione ma di ascolto, confronto e arricchimento reciproco fa parte del mio modo di vivere ed è connesso alla mia esperienza musicale. La storia stessa ci testimonia quanta forza e fecondità possano trovarsi nell’incontro e in un dialogo in grado di dare valore al tessuto delle differenze.




In tal senso hai collaborato anche con Mario Ancillotti nei suoi progetti di “Suoni Riflessi”.
Con Mario Ancillotti, che è mente e anima del Festival “Suoni Riflessi” lavoro da 15 anni: ne ho molta stima e sono vicino alla sua idea progettuale. Tra i tanti concerti ricordo l’esecuzione de El amor brujo di De Falla, nella versione del 1915, con Esperanza Fernandez prima, e Charo Martin poi, meravigliose cantaore di flamenco. La loro voce e i loro passi ci hanno permesso di vivere e restituire la vitalità di un ritmo e il senso profondo di quella musica. Ancora, il progetto “Noi Altri” con Moni Ovadia, dedicato alle influenze della musica dei gitani e degli ebrei nella musica colta occidentale e quello dedicato a Mallarmè con Susanna Rigacci e il Nuovo Contrappunto, registrato per “Amadeus”. Infine, i concerti dedicati alle Lezioni Americane di Calvino e alla “Notte”, inteso come luogo dell’inconscio e dell’immaginario con musiche di Vivaldi, Chopin, Schönberg e Sciarrino. Molto presto uscirà anche un libro dedicato ai 10 anni di quest’esperienza.




C’è qualche concerto o collaborazione che ricordi con particolare emozione?
Nello scorso aprile ho suonato nella Stagione de “I Concerti del Quirinale” con Mario Ancillotti, Claude Hauri e Susanna Rigacci. Ricordo, poi, con piacere, i concerti con la violinista Natasha Korsakova a Roma – in Piazza del Campidoglio, alla presenza del presidente Giorgio Napolitano e del Segretario di Stato del Vaticano – e a Berlino, nel luogo simbolo della Kaiser Wilhelm Kirke. Penso, infine, con affetto, al Concerto per pianoforte e orchestra di Domenico Puccini, il nonno di Giacomo, suonato con l’Orchestra dell’Istituto Musicale “Luigi Boccherini” diretta da Gian Paolo Mazzoli. Suonare con giovani musicisti è stato un buon modo per iniziare la mia esperienza di insegnante all’Istituto Boccherini, una realtà notevole della quale sono felice di essere parte.

Insegni da molto tempo. Che tipo di insegnante sei?
Spero di essere un insegnante utile. Amedeo Baldovino, violoncellista del Trio di Trieste, definiva lo strumento il suo educatore di umiltà: ci sono vari momenti del percorso di studio e ognuno di questi ha le sue priorità, i propri accenti. Oltre alla profonda cura degli aspetti tecnici e interpretativi, dalla cui solidità non si può prescindere, è necessario dare all’allievo un buon metodo di lavoro e aiutarlo a individuare il senso e il valore del percorso che sta facendo. Il fine è sempre quello di creare un equilibrio tra l’aspetto fisico, emotivo e razionale, grazie al quale vivere concretamente una tensione verso un ideale, e far fiorire i talenti.

Hai tenuto prime esecuzioni di musiche di Gaetano Giani Luporini, Fabrizio Festa,  Marcello Panni e, ultimamente, all’interno del progetto dedicato a Giovanni Pascoli, di Girolamo Deraco.
Lavorare insieme ai compositori è sempre un momento prezioso perché la produzione contemporanea è stimolante e in grado testimoniare vie nuove. M’interessa molto l’accostamento di periodi e linguaggi lontani tra loro:  penso, ad esempio, alla forza emotiva dell’incontro, proposto da Maurizio Pollini, tra la musica di Gesualdo da Venosa e quella di Luigi Nono.

Sei stato anche membro del “Centro Tempo Reale”, fondato a Firenze da Luciano Berio, e fai parte dell’Associazione Musicale Lucchese…
L’esperienza di Tempo Reale è stata interessante e in un contesto di grande qualità. L’Associazione Musicale Lucchese è una bella realtà fondata, quasi 50 anni fa, da Herbert Handt: sono felice di farne parte perché è un organismo che gode di ottima reputazione, serio ed efficace. Organizza concerti cameristici, sinfonici, conferenze e, non ultima, una serie di concerti dedicati alle nuove generazioni.

Vivi in Toscana, a Lucca, una bellissima città d’arte con una grande storia musicale.
Lucca è una città ricchissima d’arte, di storia, di musica. Nel centro storico, a poche centinaia di metri l’uno dall'altro, sono nati Boccherini, Catalani e Giacomo Puccini. Non dimentichiamo poi tutta la dinastia dei Puccini, Geminiani, Luporini e Giani Luporini. A Lucca, inoltre, ha vissuto Paganini e si è fermato Liszt. Nell’Archivio di Stato è presente parte del Codice Mancini, bella testimonianza della tradizione compositiva del Nord e Centro italiano del XIV e XV secolo. Gli stimoli e la bellezza,  per fortuna, non mancano.

Adriana Benignetti