08 marzo 2012

Laura Dubini (Milano, 1 aprile 1947 – Milano, 10 marzo 2007)

Il ricordo di una straordinaria giornalista, a 5 anni dalla sua scomparsa



«Quella di Laura Dubini è stata una morte annunciata e inammissibile. Che fosse malata, e grave, si sapeva. Che la "brutta bestia" (lei la chiamava così) continuasse ad affondare le unghie nel suo corpo, era noto. Anzi, era pubblico, dato che Laura, da che il male si era ripresentato con rinnovata brutalità, lo aveva sfidato a viso aperto, accettando di diventare "testimonial" della ricerca, di farsi bandiera di speranza per tutti. Un calvario che lei aveva trasformato in un’avventura di vita, da riferire agli amici in sms puntuali e ironici: "La terapia nucleare ha raggiunto il fegato. Evviva! Sono un po’ dolorante ma ne vale la pena. Laura bionica". Una firma che era diventata il suo slogan. Sembrava fragile Laura, così delicata, incantevole, elegante. 


Era una forza della natura, una donna coraggiosa e spiritosa. Una che per 18 anni, la prima volta il male era comparso nell’’89, non ha mai mollato un istante, che mai ha pensato: non ce la farò. E allora, quando ieri si è saputo che se n’era andata, lo sconforto e il dolore sono stati violenti. Perché dopo 18 anni di guerra a quel modo, senza arretrare di un passo, non si può morire. Non ancora così giovani (avrebbe compiuto 60 anni il primo aprile), così pieni di progetti, di sogni. La vita era stata generosa con lei. Le aveva regalato fascino e intelligenza, bontà e sensibilità. Un figlio bellissimo, Stefano, che lei con orgoglio legittimo trovava somigliante a Paul Newman (ed è proprio così). Tante amiche, vere, che le sono state al fianco come sorelle. "La nostra disperazione oggi – dice una di loro, Emanuela Properzi dell’Airc – è di non averle potuto dare di più. Ma il suo esempio ha certo salvato molte vite". E poi i fratelli amatissimi, Paola, Andrea, Nicolò. Infine, un lavoro meraviglioso. Per Laura un motivo in più per andare avanti, per farcela. Giovanissima aveva iniziato nelle riviste femminili, poi era passata al Corriere della Sera. Per molti anni acuta ed equilibrata cronista di moda, punto di riferimento per i principali stilisti, amica di tutti ma capace di tenere anche le distanze necessarie. Arrivata all’apice, promossa critica del settore, aveva deciso di lasciare. Una svolta a sorpresa. Perché un’altra passione, più grande ancora, le chiedeva di seguirla: la musica classica, che per oltre 10 anni Laura ha coltivato per le pagine degli Spettacoli. Fin da ragazza frequentatrice della Scala, istradata dalla madre Maria, considerava quel teatro un po’ la sua seconda casa, un luogo di affetti e di emozioni sicure. Con la sua competenza e serietà era diventata in fretta impeccabile cronista musicale di ogni «prima», interlocutrice privilegiata dei "signori del podio", amica personale di molti, tra cui Riccardo Muti e Zubin Mehta. "Una persona sempre positiva, che ha aiutato molto la causa della musica – la ricorda il maestro indiano –. I suoi articoli hanno contribuito a elevare la qualità dell’informazione culturale". E il Teatro del Maggio Fiorentino, con cui aveva un legame speciale, le dedicherà il concerto del 16 marzo. Direttore Vedernikov. La vita è stata generosa e crudele con Laura. Laura è stata generosa e basta. Fino all' ultimo si è spesa a piene mani. Senza risparmiarsi, addirittura spostando gli appuntamenti clinici in funzione di quelli di lavoro. Perché la musica per lei era più forte di ogni male».
Giuseppina Manin, Corriere della Sera, 11/03/2007


Con questo bellissimo articolo di Giuseppina Manin, il Corriere della Sera annunciava la scomparsa della “sua” amatissima cronista Laura Dubini, una donna generosa, coraggiosa e appassionata, stimata dai colleghi, così come da musicisti del calibro di Zubin Mehta o Riccardo Muti. Già, perché la musica classica  era la sua passione era la: una passione così travolgente, da farle abbandonare la moda, settore per il quale aveva lavorato per anni diventando un punto di riferimento per i più importanti stilisti. All’apice della carriera, una svolta e la decisione di dedicarsi alla musica, il suo vero grande amore, diventando anche in questo settore, in brevissimo tempo, una voce autorevole. Un terribile male, un tumore, l’aveva colpita, però, nel 1989: lei, coraggiosa e infaticabile, continuò a lavorare con la stessa energia e tenacia, sottoponendosi, nello stesso tempo a cure mediche. Il 6 giugno 2006 annunciò con una lettera al Corriere della Sera che si stava sottoponendo a una nuova, faticosissima, cura sperimentale. E sulle pagine dello stesso giornale, Umberto Veronesi che ha lottato fianco a fianco con lei per quasi 10 anni la ricordava così:

«Ho incontrato Laura sulla soglia sottile che separa gli spiriti che condividono il dolore della malattia. È il luogo per eccellenza dell’empatia fra medico e malato. E della com-passione fra anime, dove si mette a nudo senza pietà e senza menzogna l’essenza di due esseri umani. È proprio lì che ho «sentito» per la prima volta il coraggio di Laura. Prima di tutto il coraggio di accettare la realtà di una malattia che l'aveva in un certo senso illusa, perché sembrava quasi essere scomparsa, per poi ripresentarsi dopo anni in forma grave. Non è facile ripiombare nel buio quando si è visto uno spiraglio di luce, ma Laura non si è persa d'animo. Non si è mai ribellata di fronte alle nostre diagnosi: né contro il fato né contro il caso, né contro i limiti della nostra scienza; ha invece sempre voluto capire che cosa stava accadendo al suo corpo, sapendo che non poteva chiederci il perché. E poi ci ha sempre chiesto lucidamente di provare su di lei ogni terapia innovativa, perché così lei avrebbe sperimentato con noi e la sua lotta avrebbe avuto un senso e un obiettivo. Per quasi 10 anni abbiamo lottato insieme, non solo contro la malattia ma soprattutto contro l'incurabilità: Laura, i medici, Leo e le tante persone che l’hanno assistita e amata. In questi anni Laura ha sfoderato una seconda forma di coraggio: quella di parlare pubblicamente della sua malattia. Non è facile per una giornalista di arte e spettacolo, una bella donna in un mondo feroce che lascia indietro chi inciampa e che rimuove le tragedie, fare della sua tragedia quasi una bandiera. Invece sulle pagine del suo giornale, alla televisione, agli incontro pubblici, Laura era sempre pronta a testimoniare; addirittura ci chiedeva di spostare le terapie il più lontano possibile dai suoi impegni come testimonial, in modo da apparire al meglio. Il suo contributo è stato importante: grazie a lei abbiamo potuto comunicare su studi nuovi di cui probabilmente tanti malati beneficeranno in futuro e abbiamo aperto spiragli di speranza sulla ricerca. Appariva serena, elegante e bella, ma mai «troppo». «È importante per gli altri – diceva – che io sia me stessa». Io credo che il suo saper essere se stessa fino all'ultimo giorno è stata la sua forma di sconfitta della malattia. Uno degli aspetti più crudeli delle grandi patologie è la progressiva solitudine del malato. Non si tratta solo di solitudine fisica ed affettiva. Sapere di essere malato di cancro è ancora oggi uno choc molto forte, per cui la persona tende ad isolarsi e rinchiudersi in se stessa fino ad annullarsi e seppellirsi nel proprio dolore. Laura ha rinunciato a questa tentazione fortissima ed è riuscita a vivere intensamente, con tutta se stessa appunto, il tempo della malattia. Perché il tempo assume dimensioni e significati diversi quando si lotta contro la morte e lei ha imparato a rendere prezioso ogni istante rubato alla malattia: ha scritto, ha imparato, ha viaggiato, ha ascoltato, ha amato, ha ricevuto molto, e soprattutto ha dato. Ha dato tantissimo a chi come lei deve affrontare una malattia difficile, alla sua professione, al suo giornale, alla musica. E a noi che come medici l'abbiamo curata e come amici le abbiamo voluto bene. Grazie Laura».
Umberto Veronesi, Corriere della Sera, 11/03/2007

Nel 2006 Laura Dubini aveva vinto il Premio Ischia per il giornalismo e si era impegnata in alcune battaglie in favore della libertà di ricerca scientifica: purtroppo, poche settimane prima di compiere 60 anni se n’è andata, dopo 18 anni di stremante battaglia.  

Tra i grandi amori di Laura Dubini c’era anche l’Orchestra Giovanile di Fiesole, formazione che aveva seguito e sostenuto con grande affetto ed energia, e che pochi giorni fa insieme al violoncellista Mario Brunello ha suonato per lei in Conservatorio a Milano.

«Laura, oltre a essere una giornalista bravissima, molto seria e preparata, era una persona di grande spessore interiore. Questo ha portato col tempo a un’amicizia affettuosissima. Trovandoci su due sponde diverse spesso è difficile stabilire legami di affetti pur salvaguardando la reciproca libertà e indipendenza. Con Laura è stato possibile per la sua ineccepibile correttezza e onestà intellettuale».
Riccardo Muti, Corriere della Sera11/03/2007

  
5 anni dopo la sua morte, nel gennaio del 2012, è nato il “Comitato Laura Dubini”, con lo scopo «di ricordare il suo impegno professionale nel campo della musica classica e della moda e la sua coraggiosa battaglia contro il cancro, che per diciotto anni l’ha vista testimone, a fianco della ricerca scientifica, nella lotta contro la malattia».

Adriana Benignetti