«12 studi per pianoforte» di F. Chopin op. 25
Fryderyk Chopin
Żelazowa Wola, 1810 –
Parigi, 1849
(Foto:
liberolibro.it)
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Come potrebbe mancare nella nostra Rivista colui che
così spesso abbiamo indicato come una stella rara nelle tarde ore della notte?
Dove vada e conduca la sua strada, quanto sia lunga e splendente, chi sa dire?
Ogni volta si è mostrato sempre con lo stesso ardore profondo, con lo stesso
centro di luce, con la stessa finezza, sì che un bambino l’avrebbe potuto
riconoscere.
Ho avuto la fortuna di sentire questi studi per la maggior parte
da Chopin stesso; «li suona molto alla Chopin» mi bisbigliò Florestano nell’orecchio.
S’immagini un’arpa eolia che abbia tutte le gamme sonore e che la mano d’un artista le mescoli in ogni sorta d’arabeschi fantastici, in modo però da udire sempre un suono grave fondamentale e una morbida nota alta; s’avrà così press’a poco un’immagine del modo di sonare di Chopin. Nessuna maraviglia perciò se i pezzi che son piaciuti di più siano quelli che abbiamo udito da lui, e così sia citato sopra tutti quello in la bemolle maggiore, ch’è più una poesia che uno studio. Sbaglierebbe chi pensasse ch’egli facesse udire chiaramente ognuna delle piccole note; si sentiva piuttosto un’ondulazione dell’accordo in la bemolle maggiore, rinnovato di tempo in tempo dal pedale, ma attraverso le armonie si distinguevano melodie dai suoni ampi, meravigliosi; una volta sola, a metà del pezzo, si sentiva chiara fra gli accordi una voce di tenore, insieme al canto principale.
Finito lo studio, si prova l’impressione di chi si vede sfuggire una beata immagine apparsa in sogno e che, già mezzo sveglio, vorrebbe ancora trattenere; dopo di ciò si può dire ancora ben poco in fatto di lode. Chopin passò poi subito all’altro studio in fa minore, il secondo del volume: anche questo, per la sua caratteristica si scolpisce indimenticabilmente nella mente, così grazioso, fantastico e lieve, un po’ come il canto d’un bimbo nel sonno. Seguì poi lo studio in fa maggiore, bello ancora, ma meno nuovo nel carattere che non nel disegno; qui importava soprattutto di mostrare la bravura, la più amabile invero e dovremmo molto complimentare il maestro… Ma a che serve, descrivere colle parole?
Questi studi indicano una volta di più quale audace forza creatrice sia posta in lui: veri quadri poetici, non senza qualche piccola macchia nei particolari, ma nell’insieme sempre possenti e afferranti. Tuttavia la mia opinione più sincera, a non volerla tacere, è che l’importanza totale mi pare maggiore nella prima grande raccolta. Questo però non può dare il minimo sospetto d’una diminuzione della natura artistica di Chopin o di un indietreggiamento, perché gli studi testè apparsi sono stati composti quasi tutti insieme ai primi e soltanto qualcuno (cui si riconosce una più grande maestria, come il primo in la bemolle magg. e l’ultimo, magnifico, in do minore) è più recente. Che il nostro amico crei ora, in generale, assai poco e opere di piccole mole, è purtroppo anche vero e ben può dirsi che le distrazioni di Parigi n’abbiano un po’ colpa. Ammettiamo piuttosto, che dopo tante tempeste un’anima di artista abbia bisogno di qualche riposo e che poi forse, nuovamente fortificato, tenda ai lontani soli, che il genio sempre ci discopre.
Eusebio
Robert Schumann Zwickau, 1810 – Bonn, 1856 (Foto: sapere.it) Adriana Benignetti |
(Robert Schumann, La musica romantica, a cura di Luigi Ronga, Einaudi Editore, Torino 1970, pp. 57-58)