30 dicembre 2022

Scritti di Erik Satie

Erik Satie

(nome completo Éric-Alfred-Leslie Satie)
Honfleur, 17 maggio 1866 – Parigi, 1° luglio 1925
Memorie di un amnesiaco (frammenti)
Chi sono io

Tutti vi diranno che non sono un musicista. È vero. Fin dall’inizio della mia carriera, mi sono, immediatamente, situato tra i fonometrografi. Le mie opere sono pura fonometria. 

Che si prenda il Fils des Étoiles, i Morceuax en forme de poire, En habit de Cheval o le Sarabandes, si vede bene che nessuna idea musicale ha presieduto alla creazione di queste opere. Il pensiero scientifico le domina. Del resto,a me piace di più misurare un suono che ascoltarlo. Così fonometro alla mano, opero allegramente e senza indugi. C’è qualcosa ch’io non abbia pesato e misurato? Tutto Beethoven, tutto Verdi, eccetera. È molto stano. La prima volta che feci uso di un fonoscopio, osservai un si bemolle di media grandezza. Non ho mai visto, ve lo assicuro, nulla di più ripugnante. Chiamai il mio cameriere per farglielo vedere. Sulla fonobilancia, un fa diesis qualsiasi, del tipo più comune, toccò i 93 chili. Era stato emesso da un tenore molto grasso, che pesai ugualmente. 

Sapete come si puliscono i suoni? È un lavoro assai sporco. La trafilatura è più pulita: saperli classificare è molto minuzioso e richiede un’ottima vista. Qui entriamo nella fonotecnica. Quanto alle esplosioni sonore, spesso così sgradevoli, un po’ di cotone, nelle orecchie le attenua opportunamente. Qui entriamo nella pirofonia. Per scrivere le mie Pièces Froides, mi sono servito di un caleidofono-registratore. Mi ci son voluti sette minuti. Ho chiamato il mio cameriere per farglielo sentire. Credo di poter dire che la fonologia è superiore alla musica. È più varia e i vantaggi pecuniari sono superiori. Le devo la mia agiatezza. Comunque sia, con il motodinamofono, un fonomusiratore che abbia un minimo di pratica può registrare agevolmente molti più suoni di quanti non ne produca il più abile dei musicisti nello stesso lasso di tempo, con un analogo dispendio di energia. L’avvenire, dunque, appartiene alla filofonia.

La giornata del musicista

L’artista deve dare una regola alla sua vita. Ecco l’orario esatto delle mie attività quotidiane:
Sveglia alle 7 e 18: ispirazione dalla 10 e 23 alle 11 e 47. Faccio colazione alle 12 e 11 e mi alzo da tavola alle 12 e 14. Salutare passeggiata a cavallo in fondo al mio parco: dalle 13 e 19 alle 14 e 53. Nuova ispirazione: dalle 15 e 12 alle 16 e 07. Occupazioni diverse (scherma, meditazione, immobilità, visite, contemplazione, agilità, nuoto, ecc.): dalle 16 e 21 alle 18 e 47. Il pranzo è servito alle 19 e 16 e termina alle 19 e 20. Poi, letture sinfoniche ad alta voce dalle 20 e 09 alle 21 e 59. Mi corico regolarmente alle 22 e 37. Una volta alla settimana, sveglia di soprassalto alle 3 e 19 (il martedì). Mi nutro solo di cibi bianchi: uova, zucchero, ossa grattugiate; grasso di animali defunti; vitello, sale, noci di cocco, pollo cotto in acqua bianca; muffa di frutta, di riso, di rape; sanguinaccio canforato, pasta, formaggio (bianco), insalata di cotone e di una determinata qualità di pesce (spellato). 

Faccio bollire il vino, che bevo freddo, misto a del succo di fucsia. Ho un buon appetito, ma non parlo mai mentre mangio per paura di strozzarmi. Respiro con precauzione (poco per volta). Ballo molto di rado. Quando cammino, mi cingo i fianchi e tengo lo sguardo fisso dietro di me. Molto serio d’aspetto, rido senza volere. Non manco mai di scusarmene, e con affabilità. Dormo con un occhio solo; ho il sonno molto duro. Il mio letto è rotondo con un buco per lasciar passare la testa. Ogni ora un cameriere viene a prendermi la temperatura e me ne porta un’altra. Sono abbonato da lungo tempo a una rivista di mode. Porto una berretta bianca, calze bianche e un bianco panciotto. Il mio medico mi ha sempre detto di fumare. Aggiunge ai suoi consigli:
-       Fumi amico mio: se no, un altro fumerà al suo posto.

[Obiezioni]

Quand’ero giovane, mi dicevano: «Vedrà quando avrà 50 anni». Ho 50 anni. Ma non vedo niente.

Ravel rifiuta la Legion d’Onore, ma tutta la sua musica l’accetta.

A tavola

Personalmente ho sempre nutrito per l’Arte Culinaria una viva ammirazione, ammirazione per nulla mitigata. I «piacere della tavola» non mi dispiacciono affatto – anzi; e provo per la «tavola» un senso di rispetto – e anche di più. Che sia rotonda o quadrata, mi appare «culturale» e mi impressiona come un vasto altare. Sì.

Secondo me, mangiare è un compito – un compito piacevole – un compito delle vacanze, beninteso; e tengo ad assolverlo con una precisione e un’attenzione solerti. Dotato come sono di un buon appetito, mangio per me stesso, ma senza egoismo, senza bestialità. In altre parole «mi comporto meglio a tavola che a cavallo» – benché sia un discreto cavallerizzo. Ma questa è un’altra storia, come fa rilevare così opportunamente il sig. Kipling.

Nei pranzi, la parte che interpreto ha la sua importanza: sono commensale come altri, a teatro, son spettatori. Sì… Lo spettatore ha un ruolo ben preciso: ascolta e vede; il commensale, invece, mangia e beve. Insomma è la stessa cosa – malgrado la disparità apparente tra queste due funzioni. Sì. I piatti nei quali sono stati prodigati un calcolato virtuosismo, una scienza accorta non sono quelli che attirano di più la mia attenzione «gustatrice». In Arte mi piace la semplicità; lo stesso in cucina. Plaudo più volentieri a un arrosto ben cotto che alla raffinata elaborazione di carni dissimulate sotto i sapienti belletti di un maestro della sala – se avete la bontà di consentirmi quest’immagine. Ma quest è un’altra storia.

Tra i miei ricordi di commensale, non posso dimenticare le piacevoli colazione fatte, durante un certo numero d’anni, a casa del mio vecchio amico Debussy, al tempo in cui abitava in rue Cardinet. Ho sempre in mente il ricordo di questi simpatici pranzetti.

Le uova e le cotolette di montone facevano le spese di quegli amichevoli incontri. Ma che uova e che cotolette!... Mi lecco le guance – interiormente, si capisce. Debussy – che le preparava lui stesso, quelle uova, quelle cotolette – possedeva il segreto (il segreto più assoluto) di quei manicaretti. Il tutto era deliziosamente innaffiato con uno squisito bordeaux bianco i cui effetti erano commoventi e disponevano nel modo migliore alle gioie dell’amicizie e del sapersi lontani dagli «Ultrabovini», dalle «Vecchie mummie» e altri «Tromboni» – codesti flagelli dell’Umanità e della «povera gente». Ma anche questa è un’altra storia.

[I ragionamenti di un testardo]

Perché un uomo è bello?
Perché, tra tutti gli animali, è il solo che se lo dice.

Che cos’è l’Uomo?
Una povera creatura messa su questa terra per dar fastidio agli altri uomini.

Il Male può venire sia dall’alto che dal basso.

Non leggo mai un giornale della mia opinione: la troverei deformata.

È bella la gioventù, quando però non è vecchia.

L’esperienza è una forma di paralisi.

Il Passato serve ad armarsi solidamente.
Il Futuro è la lotta nell’ignoto intravisto.
Imparate a guardare lontano, nel Gran Lontano.

Non capisco perché i soldi non hanno odore, dato che con i soldi si può avere tutto.

Se fossi ricco, avrei paura di perdere la mia ricchezza.

Chi beve assenzio, si suicida a sorsi.

(Erik Satie, Quaderni di un mammifero, a cura di Ornella Volta, Adelphi Edizioni, Milano 1980)

A. B.